Dalle Istituzioni, Governo, Idrocarburi, In Primo Piano, Post in evidenza, Produzione di Energia
Upstream, lo “Sblocca Italia” necessario ma non sufficiente.
A poche settimane dalle dichiarazioni di Renzi sul decreto “Sblocca-Italia”, la sola menzione dei giacimenti petroliferi in Basilicata è stata sufficiente a innescare il consueto e prevedibile fuoco di sbarramento da parte di enti locali, associazioni, gruppi e comitati. Anche il Comune di Taranto ha ritenuto di non essere da meno annunciando, lo scorso 20 settembre, l’intenzione di ricorrere a strumenti urbanistici per fermare l’investimento “Tempa Rossa”, che prevede l’approdo logistico, nella raffineria Eni, del greggio estratto in Basilicata nell’omonimo giacimento. Secondo quanto riportato dalla stampa, la giunta comunale tarantina avrebbe approvato un atto di indirizzo che, nell’ambito del piano regolatore portuale, bloccherebbe de facto le infrastrutture di Tempa Rossa (e come possibile danno collaterale anche altri investimenti) attraverso una variante. Adesso toccherà al consiglio comunale decidere con il voto.
Nihil novi sub soli. Quella della politica energetica nazionale è una vicenda surreale che da preoccupante rischia di diventare tragica. Il paradosso, perché di paradosso si tratta, è che se, da un lato, l’Italia è in larghissima misura dipendente dalle importazioni di idrocarburi dall’estero, dall’altro, possiede giacimenti onshore tra i maggiori in Europa. Giacimenti che risultano essere praticamente impossibili da sfruttare, a dispetto di quanto previsto, come obiettivo prioritario, nella SEN. Nel frattempo, a livello internazionale, mentre i foschi scenari politici in Libia, Medio Oriente e in Russia non possono che destare preoccupazione sul futuro degli approvvigionamenti energetici, i nostri vicini croati e maltesi hanno annunciato un ambizioso piano ricerca di idrocarburi, rispettivamente, nell’Adriatico e nel Canale di Sicilia, a pochi chilometri dalle nostre coste, con buona pace delle indecisioni della nostra politica nazionale e delle amministrazioni locali. Ma aldilà dei danni, anche reputazionali, già compiuti, la mancanza di una convincente e rapidissima inversione di tendenza rischia di far fuggire quelle poche imprese e investimenti stranieri che sono sopravvissuti. La recente esperienza statunitense è sotto gli occhi di tutti e dimostra che il settore costituisce volano economico per le industrie manifatturiere con conseguenti ovvi benefici in termini di occupazione, crescita economica, miglioramento della bilancia dei pagamenti e delle finanze locali. A ciò si aggiunge la minaccia più seria, ovvero quella legata alla sicurezza nazionale, ove dovesse continuare la nostra sempiterna condizione di dipendenza.
A livello legislativo le cose da fare sono, tutto sommato, poche e chiare e, in tal senso, il DL “Sblocca-Italia” porta un contributo significativo ma ancora parziale. È, innanzitutto, fondamentale ridurre i tempi autorizzativi che arrivano, in alcuni casi osservati, a dieci volte quelli previsti dalla normativa e sono ben più elevati delle medie europee e globali. Il superamento della distinzione tra permessi di ricerca e concessioni di coltivazione attraverso l’introduzione del titolo concessorio unico è un passo avanti ma, prima ancora, sarebbe necessario mettere mano allo strumento della conferenza di servizi (con una giudiziosa cernita degli enti titolati a partecipare, tempi certi e accountability per assenze e dissensi irragionevoli). Occorre poi ridurre drasticamente i casi kafkiani di “intese”, “concerti” e “pareri”, prevedendo anche forme di silenzio-assenso, perentorietà dei termini e, magari, un testo unico di settore.
Anche l’avocazione della VIA da parte del Ministero dell’Ambiente in caso di prolungata inerzia delle Regioni è senz’altro benvenuta sebbene viziata dalla limitata applicazione ai soli procedimenti in corso. A ciò si aggiunge che restano tutte da dimostrare sia la capacità del Ministero di approntare in tempi stretti la struttura necessaria (viviamo tempi di spending review e di blocco delle assunzioni pubbliche) per gestire i procedimenti in corso, sia quella del Governo di superare il catenaccio che, in sede di conversione dello Sblocca-Italia, le Regioni stanno schierando in campo per evitare la spoliazione dei propri ruoli prima ancora che delle proprie funzioni. Oltremodo difficile sarà anche eliminare politicamente i territori dal gioco: dopo anni di condivisione e partecipazione alle decisioni (o alle indecisioni), la politica locale si farà da parte malvolentieri e, crediamo, con contropartite tutte da valutare. Completare con decisione la riforma del Titolo V della Costituzione che riporti finalmente le competenze in materia di energia in capo allo Stato sembra cruciale, a patto che lo si faccia in fretta e superando le resistenze politiche annidate qua e là.
Vi è, inoltre, da augurarsi che l’attuazione della direttiva sull’offshore 2013/30/UE avvenga in modo pedissequo e senza costituire un’ulteriore occasione per introdurre o paventare nuovi oneri sulle imprese concessionarie e altri limiti ad un’attività già recentemente penalizzata dall’incremento della fascia di rispetto e dalla rimodulazione delle zone marine.
Un discorso a parte meritano le royalties che non solo sono tra le più alte in Europa, ma che si aggiungono a canoni demaniali e, più in generale, a un regime fiscale ben più gravoso rispetto ai benchmark OCSE. Inoltre, il relativo gettito è palesemente sproporzionato rispetto alla capacità di spesa e gestione dei comuni beneficiari, vinculis soluti da ogni profilo di responsabilità. Perché non destinare, invece, il gettito a progetti di vera compensazione ambientale e sviluppo del territorio (anziché, come spesso avviene, a sagre e concerti) e richiedere che la relativa realizzazione sia monitorata da comitati congiunti tra le amministrazioni e gli operatori?
Un’ultima nota sul regime fiscale. Si ricorda troppo poco che il motore dell’attuale Rinascimento energetico nordamericano è legato non solo allo sviluppo della tecnica estrattiva, ma anche all’introduzione di una struttura societaria (master limited partnership – MLP) che combina la perfetta trasparenza fiscale delle società di persone (leggi esenzione dalla corporate income tax) con la liquidità derivante dalla possibilità di emettere strumenti partecipativi negoziati su mercati regolamentati.
È importante fare presto perché gran parte del danno è già stato fatto (e in tal senso lo “spalma-incentivi” ha costituito perfetta arma di dissuasione di massa su chi avesse ancora voglia di investire nel nostro sgangherato Paese): moltissime oil major se ne sono già andate o hanno ridimensionato i propri investimenti e non è certo un hollywoodiano “Italy’s back” declamato alla critica e seria comunità finanziaria della City che possa convincerle a ritornare.
(Giovanni Galgano e Lorenzo Parola)
*Il presente articolo è apparso anche su Staffetta Quotidiana
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