Dalle Istituzioni, Idrocarburi, In Primo Piano, Produzione di Energia, Regioni
Upstream italiano, un potenziale non sfruttato
Non sarà passata inosservata agli addetti ai lavori una certa ripresa del dibatto nazionale sull’utilizzo delle riserve italiane di idrocarburi. Nelle ultime settimane, tra crisi russo-ucraina, mire croate sui mari dell’Adriatico e l’attesa revisione della struttura degli incentivi energetici prevista dal Governo, si fa strada, tra opinion leader ed esponenti del mondo istituzionale, il tentativo di riportare nell’agenda della politica energetica nazionale la questione dell’importanza del mix delle fonti di approvvigionamento, e dunque del ricorso al potenziale inutilizzato oil&gas di casa nostra. Il tema è caldo: il Rapporto Ichese sulla presunta relazione di causalità tra attività di trivellazione e sisma in Emilia Romagna, ha lasciato più ombre che luci e la discussione è pregna anche di certe retoriche che vogliono impostare il dibattito sulla netta inconciliabilità tra fonti rinnovabili e fonti fossili.
Partiamo dai fatti più recenti. La Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato recentemente il Rapporto annuale 2014, che si riferisce alle attività espletate nel 2013. Al di là dei dati, è di indubbia rilevanza strategica, quasi politica, la premessa del Direttore Franco Terlizzese. Di seguito un estratto: […] il settore esplorazione e produzione di idrocarburi, […] in Italia non ha espresso il suo potenziale né raggiunto tutti i suoi obiettivi. […] Numerosi operatori internazionali, da tempo presenti per investire in Italia per il suo potenziale produttivo e in attesa da anni di ottenere permessi e autorizzazioni, potranno lasciare il Paese, attratti dalle prospettive crescenti di altre aree mediterranee, dove è in corso un forte e rapido sviluppo di attività esplorativa, in particolare in mare. […] La Strategia Energetica Nazionale (SEN), approvata nel 2013, prevede un progressivo aumento delle produzioni nazionali, fino a raggiungere nel 2020 i livelli degli anni ’90. Per ottenere questo risultato, tecnicamente alla portata del potenziale di riserve del Paese, occorre attivare al più presto una diversa politica di concertazione con i territori interessati e promuovere processi amministrativi molto più efficienti degli attuali.
Ma a riaccendere il tema era stato mesi fa, il 18 maggio 2014, Romano Prodi, con il suo intervento affidato alle pagine del quotidiano «Il Messaggero». L’ex Presidente del Consiglio, padre nobile di quel Partito Democratico che con Matteo Renzi ha ottenuto un enorme successo nell’ultima tornata elettorale, sottolineava la necessità di riflettere sulle nostre potenzialità sprecate in tema di produzione energetica da idrocarburi. Tanti i vantaggi che deriverebbero da una maggiore attività estrattiva: più introiti incassati dalle royalties di quelle aziende italiane e straniere – tante – pronte ad investire; maggiore indipendenza energetica, in particolare da una Russia sempre meno affidabile; la certezza di poter contare su ampie riserve e di qualità, che oggi rischiano di essere sprecate o, peggio, sfruttate da una vicinissima Croazia.
Il Ministro allo Sviluppo Economico Federica Guidi, a stretto giro, ha sfruttato l’eco creato dalle parole di Prodi per affrontare la questione dal punto di vista del Governo. Sulla stessa testata, ha così affermato che importanti giacimenti di petrolio, in diverse zone del Paese, fra l’altro localizzati spesso nelle regioni più svantaggiate del Mezzogiorno, risultano incomprensibilmente sottoutilizzati. La Guidi, non volendo tralasciare l’aspetto della tutela ambientale, ha inoltre fatto riferimento al prossimo recepimento della direttiva europea del 2013 sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi (inserita nella Legge di Delegazione Europea in discussione in questi giorni presso l’Aula della Camera).
In occasione della sua assemblea, Assomineraria ha voluto porre l’accento sulle opportunità di integrazione fra le attività estrattive oil&gas con quelle turistiche, ittiche ed agricole. Nella giornata che ha visto il passaggio di testimone alla presidenza da Claudio Descalzi (ora a.d. Eni) a Giuseppe Tannoia (Executive Vice President per la Regione Europa meridionale e orientale di Eni E&P), si è voluto trasferire l’esempio di best practices di Regioni quali la Lombardia, Emilia Romagna e Sicilia dove si è realizzato un modello vincente win-win fra i vari settori produttivi, ugualmente da preservare per occupazione e ricchezza creata. A presentare i casi virtuosi emersi dall’attività di studio del RIE-Ricerche Industriali ed Energetiche, il coordinatore scientifico Alberto Clò, Professore di Economia ed ex Ministro dell’industria del Governo Dini, bolognese come Prodi.
In attesa di iniziative legislative sulle autorizzazioni e semplificazioni amministrative, si cerca quindi anche di lavorare sul percepito culturale per smantellare la diffidenza creatasi attorno all’attività di estrazione. Aspetto, quest’ultimo, che in alcuni casi più delle complicanze burocratiche e dei costi, ha bloccato investimenti nel nostro Paese e generato reazioni di rifiuto a qualsivoglia progetto.
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