Gestione dei rifiuti, Governo, In Primo Piano, Post in evidenza, Regioni, Sostenibilità, Unione Europea
Trattamento rifiuti, per Amici della Terra “sì a nuovi inceneritori”
L’associazione Amici della Terra ci aveva già abituati a dichiarazioni che escono dal tracciato segnato da altrettanto importanti e molto note associazioni ambientaliste. Facendoci scoprire che anche l’ambientalismo ha più di un volto. Il tema, in questo caso, è quello del trattamento dei rifiuti urbani, ma in altre occasioni si esprimeva la contrarietà allo sviluppo di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile che l’associazione considera essersi spinto troppo in là negli anni in ottica puramente speculativa, con un consistente danno paesaggistico (in particolare sull’eolico “incontrollato”).
Lo schema di Decreto Ministeriale “Individuazione della capacità nazionale di trattamento di rifiuti da parte degli impianti di incenerimento”, previsto dall’articolo 35 del Decreto “Sblocca-Italia”, è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni. Il suo annuncio è giunto nel bel mezzo turbinio estivo e ha sollevato forti critiche: “Rifiuti zero, altro che nuovi inceneritori”, era questa, in un’espressione forse un po’ semplicistica ma che rende il senso, la sintesi dei messaggi sui profili Twitter di esponenti dell’ambientalismo italiano.
Con un comunicato stampa fatto circolare solo in questi giorni, passata la tempesta di voci contrarie, Amici della Terra, associazione presieduta da Monica Tommasi, ha invece commentato positivamente il testo approvato dall’esecutivo: “La dotazione infrastrutturale di inceneritori indicata dallo schema di decreto ministeriale [..] costituisce la premessa per il conseguimento stabile dell’obiettivo del 65% di raccolta differenziata e soprattutto dell’obiettivo del 50% di effettivo riciclaggio del rifiuto differenziato”.
Lo schema di Decreto Ministeriale dispone (tabella C) la realizzazione di 12 nuovi impianti – o potenziamento di quelli esistenti, come nel caso della Sardegna – su tutta la penisola, finalizzati a soddisfare un fabbisogno totale di 2.500.000 tonnellate di rifiuti all’anno.
Dallo schema di decreto si apprende, per esempio, che in Sicilia – la regione più grande d’Italia e la quarta più popolata – non esiste nessun tipo di impianto per il trattamento dei rifiuti, ma solo discariche. In Lombardia, più popolosa ma paragonabile per estensione, vi sono ben 13 inceneritori (contando solo quelli in esercizio). Essendo, peraltro la Sicilia in pre-contenzioso europeo, si segnala nel Decreto l’assoluta necessità di realizzare due inceneritori con recupero energetico per rispondere a un fabbisogno regionale calcolato in 699 mila tonnellate di rifiuti all’anno.
Del comunicato trasmesso da Amici della Terra, è particolarmente interessante soprattutto questo passaggio: “Chi si oppone alla realizzazione degli inceneritori nel quadro proposto dalla bozza del Governo in nome dei cosiddetti “rifiuti zero” si rende complice del processo di degenerazione del sistema di gestione dei rifiuti basato sull’uso abnorme delle discariche e sull’esportazione dei rifiuti, compresi i danni e i costi che ciò implica.”. Meglio quindi non fare niente, aspettando che la pratica dei “rifiuti zero” diventi finalmente realtà, piuttosto che costruire inceneritori? No, sembra essere la risposta di Amici della Terra, è meglio fare gli inceneritori e farli bene, perché ciò è possibile, nel rispetto di tutti i vincoli ambientali, di tutela della salute umana e dei principi di gestione trasparente e concorrenziale, uscendo dalla logica dell’emergenza perenne.
L’attenzione – o per meglio dire, la critica – di Amici della Terra, non è rivolta al Governo, che ha comunque compiuto “un primo passo positivo (anche se in grave ritardo)”, bensì agli enti locali: “soprattutto, la paura degli amministratori di affrontare il tabù dell’incenerimento ha consentito l’avvio e la crescita dello scandaloso fenomeno dell’esportazione dei rifiuti urbani all’estero da parte delle realtà italiane più arretrate, Capitale compresa”. Il No agli inceneritori è infatti uno dei fenomeni di contestazione più incardinato nel nostro Paese, sul quale sindaci, regioni e politica locale hanno sempre percepito un forte rischio dissenso e non è difficile individuare in questo continuo braccio di ferro tra interessi locali e nazionali un elemento di responsabilità per il ritardo in cui l’Italia versa su questo, come su altri fronti.
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