Dai territori, Gestione dei rifiuti, In Primo Piano, Post in evidenza, Unione Europea
Rifiuti: l’economia circolare necessita di nuovi impianti
di Emilio Conti, esperto di comunicazione ambientale e consulente di Public Affairs Advisors
Periodicamente, in particolare nei mesi estivi, la situazione legata alla gestione dei rifiuti sale alla ribalta della cronache: prima Napoli, poi la Sicilia e ultimamente la città di Roma. Sembra che gestire i rifiuti – un’attività prevedibile e programmabile – sia in certe situazioni molto complicata o a volte impossibile, anche se il tema della loro gestione è uno degli elementi centrali delle strategie di economia circolare a livello nazionale e comunitario. Il 2018 è stato infatti l’anno dell’approvazione del pacchetto europeo sull’economia circolare, e i successivi due anni dovrebbero essere determinanti per la sua attuazione e il raggiungimento dei nuovi obiettivi previsti dalle direttive.
Qual è la situazione legata alla produzione dei rifiuti in Italia, al di là degli episodi di cronaca citati?
ISPRA pubblica ogni anno due documenti, uno relativo ai rifiuti urbani (RU) e uno ai rifiuti speciali (RS), in cui sono evidenziati tutti i temi e i numeri del settore. Secondo queste pubblicazioni, nel 2017 (ultimi dati disponibili) la produzione di rifiuti in Italia è stata complessivamente di 168,8 milioni di tonnellate, di cui 29,6 milioni di RU e 138,9 milioni di RS.
Nel 2017 la produzione di RU risulta di poco inferiore a quella dell’anno precedente (circa -1,7%) ma mostra un trend decrescente nell’ultimo decennio: nel 2017 la produzione di RU è scesa infatti del 9,1% rispetto al 2006, evidenziando nei fatti una presa di coscienza e un mutamento nelle abitudini degli italiani. Lo stesso trend infatti si osserva per la produzione pro-capite, passata da 549,9 kg per ogni abitante nel 2006 a 498,2 nel 2017, con una diminuzione di circa 50 kg a testa ogni anno. Dei 498 kg di rifiuti prodotti ogni anno da ognuno di noi, nel 2017 ben 272 sono stati avviati alla raccolta differenziata (che nel complesso a livello nazionale raggiunge il 55,5%), anche se con differenze sostanziali tra le diverse zone del Paese. E anche questo è un passo significativo verso l’economia circolare.
Diversa è invece la situazione per quanto riguarda i rifiuti speciali, cioè tutti quelli prodotti al di fuori delle nostre abitazioni. I dati di produzione di RS sono in costante crescita: si è passati infatti da 132.429 tonnellate nel 2015 alle 138.896 tonnellate del 2017, con un aumento di quasi il 5% in due anni, seguendo un trend che dura da anni.
Di questi, sempre secondo i dati ISPRA, 129.227 tonnellate sono RS non pericolosi, mentre 9.670 tonnellate sono rifiuti pericolosi. Il Nord Italia è la macroregione dove si producono più rifiuti speciali (circa il 60%) e la Lombardia da sola ne produce il 22% del quantitativo nazionale, seguita dal Veneto (circa 11%) e dall’Emilia Romagna (9,8%).
In merito alla loro gestione, si osserva che il recupero di materia costituisce la quota predominante dei RS gestiti (67,4%), a cui seguono con il 10,9% le altre operazioni di smaltimento (trattamento biologico, chimico fisico, ricondizionamento, etc.) e, con l’8,2% lo smaltimento in discarica. Residuali, con l’1,4% e con lo 0,9%, le quantità avviate al coincenerimento e all’incenerimento.
Questa in termini generali la situazione. Secondo un recente studio di Legambiente, sono operativi in Italia 4 impianti di riciclo e recupero per ogni discarica operativa. Per poter andare incontro alle nuove strategie di economia circolare serve dunque completare il sistema impiantistico per il riciclo e il riuso dei rifiuti, urbani e speciali, rendendo autosufficiente ogni regione. E proprio su questo rischia di “incagliarsi” lo sviluppo del comparto. Tra veti politici, opposizione da parte dei comitati o più semplicemente per lungaggini burocratiche, la realizzazione di nuovi impianti lungo l’intera filiera della gestione dei rifiuti è infatti molto difficile e si è costretti – l’esempio recente di Roma è davanti a tutti – a inviare i rifiuti fuori regione o, peggio ancora, all’estero.