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Riciclo o riuso? La revisione della normativa sugli imballaggi UE è arena di scontro
di Caterina Castellani
Proprio in questi giorni va al voto nella plenaria dell’Europarlamento la proposta di regolamento sugli imballaggi (PPWR – Packaging and Packaging Waste Regulation).
L’ultimo voto importante sulla proposta è avvenuto il 24 ottobre scorso in commissione Ambiente (ENVI) e ha lasciato i contrari – Confindustria, Coldiretti, Cia, Confagricoltura, Filiera Italia – insoddisfatti (per usare un termine politically correct) . In sostanza il provvedimento approvato ha l’obiettivo di ridurre la produzione di rifiuti da imballaggio e spingere con forza il riutilizzo (NDR: che non vuol dire “riciclo”!).
Numerose critiche sono arrivate anche dalla politica italiana. Il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin si è espresso così: “Si continua ad andare verso un sistema che non valorizza il modello vincente italiano, ma che lo mette a rischio. Continueremo la nostra battaglia in tutte le sedi comunitarie per difendere le ragioni di una filiera innovativa, che supera i target Ue con diversi anni di anticipo, che dà lavoro tutelando l’ambiente e affermando i più avanzati principi dell’economi circolare”. Anche la viceministra Vannia Gava ha commentato aggiungendo che l’Italia resta “fermamente convinta della irricevibilità della proposta di regolamento sugli imballaggi voluta dall’UE. Il nostro paese è fortemente impegnato nel settore dell’economia circolare ed ha un modello di gestione dei rifiuti da imballaggio che rappresenta un’eccellenza a livello UE”.
L’Italia, per chi non lo sapesse, è infatti un esempio eccezionale di come coniugare competitività e sostenibilità e dove sembra funzionare bene l’intero ciclo di vita del packaging, dalle materie prime allo smaltimento finale. Molto bene, infatti: stando ai dati forniti dal Consorzio nazionale imballaggi (Conai), in Italia lo scorso anno è stato riciclato il 71,5 per cento dei rifiuti di imballaggio. Parliamo di 10 milioni e 400 mila imballaggi che hanno avuto una seconda vita. E questo vuol dire che, al di là delle richieste europee, l’Italia, il suo, l’avrebbe già fatto. Gli obiettivi di riciclo europei sono, entro il 2025, del 65 per cento di riciclo, e per il 2030 del 70 per cento.
La domanda sorge quindi spontanea: perché, se siamo virtuosi nel riciclo, dovremmo preoccuparci di cosa decideranno a Bruxelles?
Il problema sta nel “dualismo” tra riuso e riciclo: due facce della stessa medaglia, parlando di economia circolare, ma che non vanno d’accordissimo. Il riciclo è la trasformazione di materiali di scarto o di rifiuto di precedenti processi produttivi; quando parliamo di riuso, invece, ci riferiamo alla possibilità di riutilizzare oggetti che non sono ancora diventati scarti o rifiuti: riutilizzando qualcosa abbiamo la possibilità di non far terminare il suo ciclo di vita.
L’industria del riciclo italiana è un settore da 236 mila occupati, 10,5 miliardi di valore aggiunto e più di 25 milioni di materie prime seconde prodotte. Sul fronte del riuso siamo invece più carenti. Ma perché? E soprattutto, quanto è sostenibile puntare tutto sul riuso facendo un grande retro front sul riciclaggio?
Sotto un profilo generale sia il riciclo sia il riuso sono processi che possono garantire impatti ambientali molto diversi a seconda delle condizioni nei quali vengo attuati: da quelle infrastrutturali (raccolta, selezione, trasporti, ricondizionamento, impianti di lavaggio), a quelle ambientali (comportamenti degli operatori, comportamenti dei consumatori, processi informativi), a quelle legate alle specifiche situazioni ove il consumo del prodotto e l’eventuale riciclo o riuso dell’imballaggio vengono effettuati.
Alla proposta di revisione della PPWR mancherebbe quel quadro giuridico necessario a sviluppare le condizioni infrastrutturali e ambientali utili a rendere il riuso economicamente praticabile ed efficace in termini ambientali. Introduce, invece, da subito misure drastiche con obiettivi molto alti di riuso in svariati settori e discriminanti (in quanto divieti e obiettivi che prescindono da ogni condizione infrastrutturale e ambientale). Ma soprattutto, prescinderebbero dai risultati raggiunti sul riciclo, come se la miglior efficacia ambientale del riuso fosse già garantita ed assodata. Non è così. Basta pensare alle enormi criticità legate al massiccio impiego di acqua nel riuso, risorsa che lo stesso esecutivo UE classifica come scarsa.
Inoltre, la proposta non sembra tener conto del fatto che il comportamento degli utenti gioca un ruolo chiave nelle prestazioni ambientali ed il consumatore – purtroppo! – è ben lungi dall’essere stato educato al riuso.
Con il voto di questi giorni il Pe definisce la sua posizione negoziale. Il Consiglio Ue la definirà il 18 dicembre e si procederà poi con il trilogo, che inizierà verosimilmente a gennaio.La posizione dell’Italia è chiara: continuare a fare e premiare il riciclo e no a target insostenibili di riuso.