Dai territori, Governo, In Primo Piano, Parlamento, Regioni, Unione Europea
Regolamentazione del lobbying, un passo avanti e (forse) due indietro
Non è un mistero che il nostro Paese abbia una percezione assai negativa dei professionisti della rappresentanza di interessi particolari. Vuoi per una solida tradizione politico-culturale, vuoi per una più banale ipocrisia, i lobbisti sono spesso considerati personaggi deprecabili che perseguono interessi inconfessabili. Nella sua manifestazione professionale moderna e nella sua vera radice storica e culturale, l’attività di lobbying è invece un elemento molto importante del gioco democratico, perché per poter partecipare alle decisioni pubbliche va da sé che occorre dialogare con chi ha il potere di incidere sulle imprese, sulla sfera dei nostri diritti, sullo spazio delle nostre libertà. Sarebbe pertanto arrivato il momento di rompere l’ipocrisia e spiegare con trasparenza e chiarezza cosa significa rappresentare legittimi interessi, come lo si fa e perché. Tentando di scardinare – opera improba, me ne rendo conto – quel sostrato cultural-demagogico che confina i “lobbisti” in qualche non meglio precisato girone dell’inferno.
Siccome le attività di rappresentanza di interessi non si improvvisano, è da osservare con curiosità il tentativo della Regione Puglia di intraprendere la strada del “riconoscimento” dei lobbisti, con un apposito disegno di legge che entro l’anno potrebbe essere approvato. E’ significativo che l’istituzione regionale individui – all’interno del regolamento in discussione – anche gli organi dirigenziali quali potenziali soggetti destinatari dell’attività di lobbying, distinguendosi dalla recente regolamentazione del fenomeno avviata dal Ministero dello Sviluppo Economico (che stabilisce le modalità di accesso ai soli vertici politici) e dal timido regolamento interno della Camera dei deputati votato nel febbraio scorso, che istituisce un Registro dei Lobbisti che accedono al “palazzo”.
Il tentativo della Camera presenta non poche incongruenze, in primis la pretesa di confinare il lobbying all’interno di Montecitorio, come se fuori non esistessero le altre istituzioni. In questo senso, la cosiddetta “stanza dei lobbisti” che sarà allestita alla Camera per poter seguire da vicino i lavori dell‘Aula è un primo passo, più simbolico che effettivo, e invero con diverse lacune. Non è stata per esempio prevista un’agenda che permetta effettivamente di tracciare incontri tra rappresentanti di interessi e interlocutore politico, né tantomeno i contenuti, fermo restando che l’auspicata normativa nazionale (se mai arriverà) dovrà tenere conto delle basilari regole di privacy per non vanificare le strategie aziendali. Così come sarebbe probabilmente necessario introdurre un minimo di premialità, per esempio consentendo agli iscritti al registro la consultazione per tempo di atti e documenti, evitando interventi dell’ultimo minuto.
Valuteremo il funzionamento del Registro di Montecitorio tra qualche tempo, quindi.
Ben venga, vale la pena sottolinearlo, che anche le nostre istituzioni finalmente pronuncino la parola “lobby” possibilmente senza ipocrisie e senza arricciare il naso. Compito della Politica e di chi opera in questo settore sarà – sempre di più – di spiegare come funziona la rappresentanza di interessi e che essa, al netto di millantatori, faccendieri e improvvisati, che però si trovano in tutte le categorie professionali, vive nel gioco della democrazia con dignità e competenze da valorizzare.