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Presentato il secondo Rapporto #No2.0, il dissenso che corre sulla Rete
Da una parte un fronte del no sempre più compatto, “istituzionalizzato” e capace di sfruttare al meglio il web e i social media. Dall’altra un “vuoto comunicativo” da parte di chi promuove le opere da realizzare.
Il quadro che emerge dalla seconda edizione del rapporto “#NO2.0 – Come il dissenso comunica sul Web: Rapporto sui fenomeni di opposizione a infrastrutture, grandi reti e investimenti industriali visti dalla Rete“, presentato oggi a Roma e realizzato da Fleed Digital Consulting (agenzia specializzata in monitoraggio e analisi del web, comunicazione in Rete) e Public Affairs Advisors (società di consulenza strategica specializzata nelle relazioni istituzionali, nello stakeholder engagement e nei progetti di accettabilità) appare netto nel tratteggiare un dissenso sempre più diffuso e guidato.
Lo studio ha analizzato oltre 100 mila fonti Web in lingua italiana da maggio 2015 ad aprile 2016.
Una protesta, rileva il Rapporto, che tende ad unire indipendentemente dalle differenti istanze di partenza e che diviene sempre più “istituzionalizzata”. Dei primi dieci account Twitter – per numero di Tweet prodotti sui temi mappati- ben sette, per esempio, sono riferibili al Movimento 5 Stelle.
Il denominatore comune dei movimenti di protesta è “la loro capacità di sapersi compattare a fronte di un vuoto comunicativo da parte di chi è a capo dell’opera da realizzare, che sia un’Istituzione, una persona fisica o un’azienda”. E l’assenza di “una reale condivisione del progetto e delle opportunità che potrebbe presentare per il territorio, determina la nascita di gran parte delle proteste analizzate“.
I temi del dissenso, trasversalmente comuni a molti dei movimenti presi in esame sono: l’inutilità delle nuove infrastrutture, il forte impatto ambientale e la conseguente scarsa sostenibilità, i costi eccessivi rispetto ai presunti benefici, la gestione di appalti e investimenti.
Oltre il 90% dei contenuti di opposizione rilevati sulla Rete proviene dai social network, con un picco registrato nel 2016 da Twitter.
Il rapporto evidenzia come i No Triv (contro la ricerca di idrocarburi) rappresentino il movimento di protesta più attivo, con 206.081 discussioni e oltre 55mila tweet con hashtag #notriv.
Proprio sulla spinta dei No Triv, la Puglia è la regione dove si è registrato il maggior numero di discussioni: oltre 66 mila.
Tra i temi che hanno generato maggiori volumi: il referendum abrogativo sulla durata delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi in mare; le proteste in Val di Susa e l’assoluzione di Erri de Luca (entrambe legate alla protesta No Tav); la crisi del comparto olivicolo seguita alla diffusione del batterio Xylella.
“Il nostro Rapporto, che non intende mettere in discussione il merito delle proteste e la giustezza o meno delle opposizioni manifestatesi – ha sottolineato Giovanni Galgano, direttore di Public Affairs Advisors – vuole essere anche un invito a riflettere sulla necessità di istituzionalizzare percorsi partecipativi per la localizzazione di nuove infrastrutture o opere, come pur si inizia a fare, evitando con cura di allungare ulteriormente i tempi delle scelte“.
“La dimensione pubblica del dibattito che nasce e viene condiviso sul web potrebbe essere un’opportunità, se utilizzata in maniera proattiva – ha dichiarato Alessandro Giovannini, managing director di Fleed Digital Consulting – Uno spazio di condivisione importante per le molte istanze moderate e apolitiche che ad oggi non trovano visibilità“.