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Nucleare innovativo: quali differenze tra le nuove e le “vecchie” tecnologie?
di Giuditta Brambilla
Lo scorso 21 settembre, ha ufficialmente preso il via il lavoro della Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile, promossa e coordinata dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) con il supporto di Enea e RSE, il cui obiettivo è quello di lavorare alla definizione di un percorso per il possibile ritorno dell’energia nucleare in Italia.
Il lancio di questa Piattaforma, in linea con la mozione approvata dalla Camera dei Deputati il 9 maggio scorso per impegnare il Governo a sostenere la ricerca tecnologica sul nucleare, si inserisce nel più ampio quadro della discussione sul ruolo dell’energia nucleare nel processo di transizione energetica, che ha impegnato il dibattito politico europeo, ancor prima di quello italiano.
A Bruxelles, infatti, le diverse istituzioni europee hanno a lungo dibattuto sul tema, in particolare con riferimento alla pubblicazione, da parte della Commissione UE, del secondo atto delegato complementare al regolamento sulla tassonomia europea, il cosiddetto atto complementare “Clima”. Con questo atto, adottato nel febbraio 2022, l’esecutivo europeo ha di fatto deciso di considerare tanto il nucleare che il gas come “attività transitorie” nel processo di decarbonizzazione, inserendole all’interno della tassonomia UE, il sistema europeo che classifica le attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale con l’obiettivo di indirizzare verso queste le scelte di sviluppo e investimento di governi e imprese.
Tornando al dibattito italiano, tra le critiche alla volontà di riprendere un programma di ricerca sul nucleare c’è stata quella sollevata dall’Onorevole Sergio Costa (M5s), ex Ministro dell’Ambiente (2018-2021) e attuale Vice-Presidente della Camera, secondo il quale il ritorno al nucleare in Italia sarebbe un superamento della contrarietà del popolo italiano all’utilizzo di questa tecnologia, espressa nei referendum del 1987 e del 2011.
Il Ministro Pichetto non è però di questo avviso. Ha infatti ribadito che rispetto ai due referendum, le cose sono ora molto diverse, precisando che “non si tratta evidentemente di proporre il ricorso in Italia alle centrali nucleari di grande taglia della terza generazione, ma di valutare le nuove tecnologie sicure del nucleare innovativo quali gli Small Modular Reactor (SMR) e i reattori nucleari di quarta generazione.”
Ma cosa cambia, de facto, tra queste tecnologie e il nucleare oggetto dei referendum?
Tanto gli Small Modular Reactor (SMR) che i reattori di quarta generazione – oggi sei i modelli oggetto di ricerca – si basano sullo stesso principio tecnologico del nucleare di terza generazione (quello delle centrali oggi operative), ovvero la fissione nucleare: un procedimento che produce sì energia in grande quantità, ma anche scorie radioattive con tutto ciò che questo comporta tanto in termini di smaltimento dei rifiuti che di rischi connessi a casi di malfunzionamento e/o incidenti. E di fatti, è proprio su questo punto che le nuove tecnologie promettono di differenziarsi notevolmente da quelle correnti.
Una delle caratteristiche dei nuovi reattori è infatti quella di essere progettati in modo da ridurre drasticamente il verificarsi di incidenti come quelli che hanno portato ai disastri di Chernobyl e Fukushima. L’idea è di dotare questi reattori di sistemi di sicurezza intrinsechi, che permettano di fermare autonomamente e tempestivamente l’attività del reattore qualora dovessero verificarsi situazioni di anomalie e rischio. Senza addentrarsi in tecnicismi, ma cercando di capire quantomeno in linea generale come questo possa essere possibile, basti sapere che tutti i reattori hanno sistemi di raffreddamento del reattore, indispensabili per tenere sotto controllo la temperatura del nucleo del reattore e, di conseguenza, la reazione di fissione. Ad oggi, il liquido refrigerante utilizzato nella maggior parte dei reattori è l’acqua. I reattori di quarta generazione ora in fase di prototipo utilizzano invece altri materiali per raffreddare il reattore, come metalli liquidi, sodio o altri sali che, per le loro proprietà fisiche, permettono di garantire un livello maggiore di sicurezza.
Inoltre, queste tecnologie dovrebbero essere in grado di usare il combustibile in modo più efficiente, riducendo tra l’altro sia la quantità che la radioattività dei rifiuti. Ad esempio, alcuni dei reattori di quarta generazione sono autofertilizzanti, ovvero capaci di consumare più materiale fissile di quello che producono, riducendo notevolmente il problema dei rifiuti radioattivi.
Ancora, questi reattori dovrebbero poter utilizzare come combustibile altri materiali rispetto all’uranio-235. Questo permetterebbe non solo di ridurre i costi – l’uranio-235 è raro e costoso -, ma anche di ridurre il rischio di proliferazione di armi nucleari grazie all’impiego di materiali più difficilmente impiegabili a scopi bellici.
Infine, per quanto concerne gli Small modular reactors (SMR), come suggerisce il nome stesso, questi hanno anche il vantaggio di avere dimensioni ridotte: questo permette di costruire SMR in serie in fabbrica per poi assemblarli in loco, ridurre i costi di produzione e superare la necessità di dedicare grandi spazi alla loro installazione. Inoltre, questi reattori sono più funzionali di quelli di grande taglia e sono in grado di mantenere attiva la produzione di energia senza interruzione più a lungo: secondo quanto riportato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (IAEA), un normale reattore richiedere di essere fermato per il refuelling circa ogni 1-2 anni, mentre un SMR è in grado di mantenere attiva la produzione per un periodo che va dai 3 ai 7 anni, con alcuni prototipi che arrivano anche fino a 30 anni. Come il nucleare di terza generazione, anche le tecnologie innovative non sono esenti da criticità, come gli ingenti investimenti iniziali richiesti per la progettazione e costruzione dei reattori, la questione dello smaltimento dei rifiuti radioattivi che, seppur in minor quantità, continueranno ad essere prodotti, i lunghi tempi richiesti per la loro costruzione. A questi si aggiunge, infine, il fatto che tanto gli impianti di quarta generazione che gli SMR sono ancora in fase di prototipo e costruzione: anche se secondo la comunità scientifica entro il 2030 la ricerca potrebbe aver fornito tutte le risposte necessarie per passare all’effettiva commercializzazione di reattori di quarta generazione e SMR, queste tecnologie appaiono comunque ancora lontane dal poter effettivamente contribuire al mix energetico.