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L’Italia dei rifiuti: necessari 10 miliardi di investimenti e attesa per i decreti end of waste. Presentato il rapporto Assoambiente
Di Umberto Garini
Il 18 aprile è stato presentato il rapporto annuale sui rifiuti di Fise Assoambiente, sostanzialmente confermando l’andamento del settore negli ultimi anni.
Se le percentuali italiane possono essere considerate buone (47% rifiuti urbani riciclati e 65% di quelli speciali) si nota ancora una disparità geografica tra zone con ottime performance e altre ancora arretrate, anche da un punto di vista di impianti. Solo per il riciclo ci sono 5,203 impianti al Nord, 1.819 al Centro e 2.133 al Sud.
I punti saldi sono gli obiettivi europei al 2035: 65% di riciclo e 10% a discarica. Per fare in modo che questi e altri obiettivi vengano raggiunti, è indispensabile che il Paese si doti di una strategia nazionale di gestione dei rifiuti con visione e obiettivi di lungo periodo, tenendo conto di tutti gli aspetti della vicenda.
Nella pratica, occorrerà arrivare a un livello di differenziata almeno dell’80% (considerando il tasso di resa) e del 25% di valorizzazione energetica dei rifiuti.
A tal proposito, l’associazione ha rilevato una carenza infrastrutturale che non permette di migliorare le performance in materia di rifiuti. Per potenziare opportunamente le filiere del riciclo, sarebbe necessario costruire nei prossimi 16 anni: 20 impianti per le principali filiere del riciclo, 22 impianti di digestione anaerobica, 24 impianti di termovalorizzazione, 53 impianti di discarica per gestire i flussi dei rifiuti urbani e speciali. Il tutto richiederebbe un investimento di 10 miliardi di euro.
La situazione è particolarmente critica se si pensa che entro due anni quasi tutte le discariche del paese saranno sature. Ciò intensifica il fenomeno del “turismo dei rifiuti” ossia lo spostamento di ingenti quantità di rifiuti (42 milioni di tonnellate) tra una Regione e l’altra.
Le principali problematiche relative alla creazione di nuove infrastrutture riguardano l’opposizione delle comunità locali, anche agli impianti di riciclo e la scelta politica di optare per determinati tipi di interventi piuttosto che altri.
Dal punto di vista burocratico il Ministero dell’Ambiente sta affrontando il tema dei decreti end of waste, senza i quali per le imprese diventa rischioso (da un punto di vista legale) o impossibile trattare, riutilizzare e rivalutare gli scarti della produzione. Un paio di settimane fa il Ministro Sergio Costa ha firmato il decreto end of waste sui pannolini, che consentirà a 1 milione di pannolini di non essere più bruciati negli inceneritori o gettati in discarica, ma di essere recuperati per diventare materia prima seconda.
Le ulteriori criticità riguardano le norme contraddittorie e il recente blocco di flussi di materia prima seconda verso Cina e India.
Guardando il settore dei rifiuti “dalla culla alla tomba” si nota come sia importante innanzitutto puntare sulla prevenzione e sulla riduzione delle rifiuti, in linea con quello che stabilisce la gerarchia europea.
A valle invece è necessario adottare politiche per incentivare l’utilizzo di materie prime seconde. Una filiera del riciclo assolutamente funzionante ed efficiente, senza però uno sbocco sul mercato per il nuovo materiale, sarebbe inutile dal punto di vista economico e ambientale. Questo problema sta diventando sempre più pressante: la cronaca ci fornisce spesso casi di depositi di materiale parzialmente o totalmente riciclato, che prendono fuoco misteriosamente; la cui causa va ricercata nell’impossibilità di commercializzare tali materiali.
Aumentare riciclo e recupero energetico per minimizzare l’uso delle discariche è oggi imprescindibile per realizzare le condizioni di economia circolare e per chiudere il cerchio dell’economia dei rifiuti. Il modello di circolarità è infatti sempre più diffuso al fine di rispondere alla sempre più scarsa disponibilità di materie prime.