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Legge elettorale e riforme: a che punto siamo?
di Caterina Castellani
Il testo della riforma costituzionale è stato approvato nella seconda votazione al Senato l’11 luglio 2019 e alla Camera l’8 ottobre 2019. Al referendum – inizialmente fissato per il 29 marzo 2020, poi slittato a causa dell’emergenza COVID-19 al 20 e 21 settembre 2020 – ha vinto il Sì.
Dalla prossima legislatura dunque (in assenza di un eventuale scioglimento anticipato delle Camere la conclusione naturale è a marzo 2023), i parlamentari saranno 345 in meno.
In particolare, alla Camera i deputati passeranno dai 630 attuali a 400. Il Senato invece da 315 diventerà a 200 seggi. Saranno ridotti anche i parlamentari eletti dagli italiani all’estero: passeranno da 12 a 8 e i senatori da 6 a 4. Verrà inoltre stabilito un tetto massimo al numero dei senatori a vita nominati dai presidenti della Repubblica: 5.
L’esito referendario ha aperto a due modifiche necessarie: la riforma delle legge elettorale e i regolamenti parlamentari.
La riforma della legge elettorale è necessaria per assicurare al meglio la rappresentanza delle minoranze in un Parlamento a composizione più ridotta; quella dei regolamenti di Camera e Senato per il funzionamento della “nuova” macchina tout court.
Ciascun parlamentare avrà più responsabilità, in particolare quando si tratterà di eleggere figure chiave quali: cinque giudici della Corte costituzionale, un terzo dei membri del Consiglio superiore della magistratura, il Capo dello Stato e la votazione per la sua eventuale messa in stato di accusa. La composizione delle commissioni parlamentari verrà modificata, in termini numerici, subendo un taglio del 36%.
Rimane invece il cosiddetto “bicameralismo perfetto”. Le due Camere continueranno infatti ad esercitare esattamente le stesse funzioni.
La crisi sanitaria causata da COVID-19 e i dissidi politici e contrasti nella maggioranza hanno di fatto bloccato il tavolo delle trattative.
Le revisioni costituzionali collegate alla riduzione del numero dei parlamentari, e che sarebbe stato meglio seguissero un percorso almeno in parte parallelo, sono tre.
La prima propone la modifica dell’articolo 58 Costituzione con l’equiparazione dell’elettorato attivo e passivo per l’elezione del Senato a quelli previsti per la Camera.
Le altre due riforme costituzionali riguardano l’articolo 57, comma 1 della Costituzione, con la sostituzione della base «circoscrizionale» a quella «regionale» prevista per l’elezione del Senato, e dell’articolo 83, comma 2 della Costituzione, con una riduzione da tre a due dei delegati regionali che partecipano all’elezione del Presidente della Repubblica.
Per quanto riguarda i regolamenti parlamentari l’intervento riguarderebbe la ridefinizione di tutti i quorum previsti dai regolamenti per ciascuna votazione e la formazione e strutturazione delle Commissioni permanenti e dei Gruppi parlamentari. La modifica più delicata riguarda sicuramente la costituzione delle Commissioni permanenti.
Nel frattempo, il 29 dicembre 2020 sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale i nuovi collegi di Camera e Senato. Ma per avere un quadro più chiaro di quel che sarà il parlamento italiano che uscirà dalle urne nel 2023 bisogna aspettare la nuova legge elettorale.
Il cantiere delle riforme resta aperto. La strada è ancora lunga.