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Legge concorrenza, i trader plaudono al “close-out netting”
Fonte: QuotidianoEnergia.it
Uno strumento che permetterà alle aziende di trading energetico attive in Italia di ridurre il rischio finanziario legato alle operazioni di compravendita e di facilitare le procedure di risoluzione dei contratti Otc, senza dover ricorrere a complesse procedure fallimentari in caso di società insolventi. E’ il commento dei trader energetici alla clausola di “close-out netting” introdotta dai commi 86 e 87 della Legge sulla concorrenza, entrata in vigore il 29 agosto (QE 11/8), in base alla quale, al verificarsi dell’insolvenza di un operatore di trading fisico energetico, è consentito alla controparte di risolvere le operazioni in energia elettrica o gas pendenti alla data di risoluzione e ottenere immediatamente il cosiddetto “importo di risoluzione” (i profitti detratti perdite e costi risultanti dalla risoluzione anticipata del contratto).
Secondo l’associazione dei trader energetici europei (Efet), che due anni fa ha chiesto al Governo italiano di modificare la legge in materia fallimentare introducendo un quadro favorevole al close-out netting, “il riconoscimento delle clausole di compensazione diminuirà sensibilmente la necessità di collateralizzare gli scambi di energia”.
Il close-out netting – o “criterio di compensazione” – è “un processo standard nel settore finanziario per lo scioglimento di strumenti finanziari”, che “riduce il rischio di controparte attraverso la definizione di un accordo di compensazione, seguito dalla risoluzione dell’accordo quadro e dalla compensazione di crediti e debiti reciproci secondo procedure definite”, spiega Efet in una nota. In questo modo, le aziende – a maggior ragione quelle italiane, per lo più di piccole e medie dimensioni – dispongono del “margine di manovra necessario per il trading di prodotti di alto valore, in quanto proteggono gli interessi commerciali in scenari di insolvenza”.
Fino ad oggi, ricorda Efet, il close-out netting non era ammesso dall’ordinamento italiano in caso di fallimento nell’ambito del trading fisico, comportando un “rischio sistemico più alto sul mercato nazionale”. I casi di insolvenza, infatti, erano regolamentati dalla normativa fallimentare, con conseguente allungamento dei tempi di giudizio e incertezza nelle scelte del curatore. Le società di trading dovevano quindi “prestare garanzie più elevate rispetto alle proprie controparti con sede in altri Stati membri Ue, dove le clausole di close-out netting erano già riconosciute per legge”.
Ora, invece, in caso di insolvenza di una delle due parti coinvolte nella negoziazione “è possibile risolvere automaticamente il contratto e ricevere il corrispettivo importo di risoluzione, senza più doversi insinuare nel passivo fallimentare”.
Lorenzo Parola, partner dello studio legale Paul Hastings e avvocato di Efet nel nostro Paese, stima che “l’onere finanziario per le imprese di trading italiane derivante dall’obbligo di fornire alle controparti garanzie per operare sui mercati delle commodity potrebbe risultare ridotto del 50-60% rispetto ai valori attuali, grazie al minore rischio di credito calcolato su base netta, con una chiara diminuzione dei relativi costi operativi”.
Il presidente del comitato legale di Efet, Jan Haizmann, auspica per parte sua che il close-out netting porti beneficio anche alla “liquidità commerciale sul mercato italiano”, mentre Giovanni Galgano, managing director della società di consulenza Public Affairs Advisors che ha seguito l’evolversi della normativa in Italia, ha espresso l’augurio che “sciogliendo un vincolo di natura normativa, come è stato fatto con l’introduzione del close-out netting, si contribuisca a creare un contesto più favorevole alla crescita del mercato del trading energetico italiano e a liberare risorse per nuovi investimenti dentro e fuori i confini nazionali”.