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Il nuovo Piano strutturale di bilancio di medio termine (Psbmt): come e perché ci si è arrivati
di Ludovica Montervino
Come da prassi, l’Italia ha avviato la cosiddetta “sessione di bilancio”. Pertanto, nel trimestre di settembre – dicembre, i lavori delle istituzioni italiane si concentreranno soprattutto sulla politica economica. Difatti, il Governo e il Parlamento hanno sempre dovuto finalizzare i documenti di finanza pubblica e la legge di bilancio entro il 31 dicembre dell’anno corrente. L’obiettivo è stabilire la gestione della spesa pubblica per l’anno successivo, sotto la supervisione della Commissione Europea.
Il 2024 si contraddistingue, però, per una significativa novità, alla luce dell’approvazione del nuovo Patto di stabilità e crescita europeo. Lo scorso 29 aprile, infatti, l’UE ha approvato il RE 2024/1263 relativo al coordinamento efficace delle politiche economiche e alla sorveglianza di bilancio multilaterale e che abroga il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio, una riforma sostanziale delle regole che gli Stati Membri devono seguire nella definizione delle politiche economiche nazionali. Sostanzialmente, le riforme introdotte dal nuovo regolamento hanno carattere sia micro sia macroeconomico, ponendo un vincolo più stringente alla traiettoria di spesa da seguire e sulle riforme strutturali da attuare nei prossimi anni, dai singoli Stati.
A partire dal 2024, il Parlamento deve approvare un nuovo documento denominato Piano strutturale di bilancio (Psb), redatto dal Governo, valido per cinque anni e contenente un percorso di riforme estendibile fino a sette anni. Il provvedimento è suscettibile di modifica solo qualora dovesse entrare in vigore un nuovo esecutivo o nel caso di eventi eccezionali che renderebbero oggettivamente necessario aggiornare i piani di spesa ivi contenuti.
Un breve excursus sui negoziati europei
Come accennato, la riforma europea del patto di stabilità e crescita è stata approvata alla fine di aprile 2024, con un’ampia maggioranza del Parlamento Europeo. Il documento era già stato approvato a dicembre precedente dall’ECOFIN (ndr. la formazione del Consiglio dell’Unione Europea che coinvolge i ministri dell’economia e delle finanze dei 27 Stati Membri), sulla base di una proposta presentata dal Commissario europeo per gli Affari economici, Paolo Gentiloni. A seguito dei negoziati, siamo a febbraio 2024, il Consiglio dell’Unione Europea e il Parlamento Europeo hanno trovato un accordo su un nuovo testo, seppur fortemente similare a quello approvato a dicembre; una volta pervenuta anche l’approvazione formale del Consiglio, il regolamento è stato definitivamente approvato dal Parlamento Europeo in aprile, con l’obiettivo di applicare le nuove regole già ai bilanci nazionali del 2025. Diversi articoli di settore hanno evidenziato che il testo è stato frutto di laboriosi negoziati istituzionali e rappresenta un compromesso tra posizioni nette, spesso contrapposte, provenienti da Paesi con culture fiscali molto diverse.
Brevemente, è importante sottolineare che le norme previste dal Patto di stabilità servono ad indirizzare la gestione ordinata dei conti pubblici di ciascuno Stato Membro, scongiurando il ricorso eccessivo al debito pubblico ed evitando così possibili ricadute sullo stato di salute dell’economia comunitaria. In questo contesto, le regole erano state sospese all’inizio del 2020 per far fronte alla pandemia di Covid-19, così da permettere un aumento consistente della spesa pubblica (ndr. miliardi di euro) ai Paesi. Con il sopraggiungere della guerra in Ucraina e della conseguente crisi energetica, la reintroduzione dei vincoli fiscali è stata ulteriormente prorogata.
Proprio per questo, infatti, la riforma del 2024 contiene norme, e di conseguenza vincoli, più morbidi rispetto allo storico comunitario; tuttavia, le istituzioni europee hanno optato per introdurre alcuni nuovi parametri volti a un monitoraggio più accorto e preciso dei bilanci nazionali.
Cosa prevede, dunque, tale riforma? Principalmente, una generale semplificazione delle regole, trattamenti diversi a seconda della condizione economica “di partenza” dei Paesi e un rafforzamento delle procedure di infrazione. Rimangono, invece, sostanzialmente invariati i parametri previsti anche dalla precedente versione del Patto (ndr. i cosiddetti “parametri di Maastricht”):
- il vincolo del 60%, per cui gli Stati Membri devono detenere un debito pubblico inferiore al 60% del proprio PIL;
- il vincolo del 3%, che il rapporto tra deficit e PIL non deve superare.
Le conseguenze per l’Italia
Tornando alla dimensione italiana, la normativa europea impone uno stravolgimento della storica calendarizzazione e delle procedure che caratterizzano la “sessione di bilancio”. Nello specifico, il Governo dovrà ora inviare il nuovo Piano strutturale di bilancio (Psb) alla Commissione Europea entro il 30 aprile, ogni cinque anni. La portata innovativa del Psb risiede in primis nella durata: questo perché i documenti di programmazione economica condivisi con la Commissione Europea (ndr. DEF, NADEF e DPB) contenevano previsioni annuali, anche se formalmente relativa all’andamento del ciclo economico sul triennio. Il Psb, invece, disciplinerà in maniera più rigorosa la politica economica e fiscale per l’intera legislatura. Rispetto all’Italia, dove le elezioni politiche dovrebbero tenersi ogni cinque anni, la validità del Piano sarà, dunque, proprio di cinque anni.
Ciò che emerge è che, a partire dal prossimo anno, il DEF e il NADEF potrebbero non essere più necessari, mentre la prassi legata al Documento programmatico di bilancio (Dpb), da presentare all’UE entro il 15 ottobre di ciascun anno, rimane invariata.
Invero, oltre al Piano di bilancio “ordinario”, l’Italia dovrà definire anche un “percorso di aggiustamento”, su un orizzonte temporale di sette anni, che l’UE ha previsto per i Paesi particolarmente indebitati. Il Psb dovrà anche includere una sezione dedicata alle riforme e alle misure da attuare entro il 2031, con l’obiettivo di far rientrare il debito e il deficit entro margini definiti dalla Commissione (ndr. ossia i vincoli europei del 60% e del 3%). Infine, il Psb farà riferimento anche al tasso di “spesa netta primaria”, cioè la spesa pubblica stimata senza tenere conto di: interessi annuali sul debito pubblico; misure legate alla disoccupazione; altre misure di carattere straordinario. Questo parametro, insieme a quelli del 60% e del 3% relativi, si ricorda, rispettivamente al deficit e al debito, guiderà la definizione di un piano di spesa pubblica coerente con gli obiettivi che l’Italia deve raggiungere in accordo con la Commissione Europea.
È all’interno di questo quadro normativo che il Governo dovrà, quindi, definire (e il Parlamento approvare) le leggi di bilancio dal 2024 in poi. Alla luce di ciò, il Consiglio dei ministri dello scorso 17 settembre 2024ha esaminato lo schema del Piano strutturale di bilancio di medio termine (di cui non è ancora disponibile il testo). La traiettoria di spesa netta inserita nel Piano, si legge dal comunicato stampa del Cdm, risulta in linea con le aspettative delle istituzioni europee. Nell’orizzonte temporale di riferimento, il tasso di crescita della spesa netta si attesterà su un valore medio pari all’1,5%. È stato anche sottolineato che il Psb definisce le linee strategiche relative alle riforme e agli investimenti che il Governo intende realizzare, con particolare riferimento a quelle funzionali all’estensione da quattro a sette anni del periodo di aggiustamento.
Nello specifico, il Piano ha due obiettivi programmatici:
- la definizione del percorso della spesa netta aggregata, ossia la spesa non finanziata da nuove entrate o risorse europee senza contare gli interessi passivi sul debito e gli effetti ciclici di particolari tipologie di spesa;
- un piano di riforme e degli investimenti da realizzare in un determinato periodo.
Si attende la trasmissione del documento alle Camere del Parlamento nazionale per l’avvio dell’esame del provvedimento, in vista della presentazione alla Commissione Europea.