Dai territori, In Primo Piano, Post in evidenza, Rinnovabili
Green is the new oil?
di Carlo De Nicola
Sostenibilità e transizione energetica sono concetti tanto universalmente condivisi (salvo pochi, limitati casi) da diventare pressoché indiscutibili. La realtà è tuttavia ben più complessa di così. Nel corso delle ultime settimane, ad esempio, diverse Regioni hanno avviato per lo meno una riflessione su come limitare la diffusione di impianti eolici e fotovoltaici sul proprio territorio: la Basilicata, ad esempio, sta lavorando ad alcune modifiche del Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale (PIEAR) volte a fissare criteri più selettivi per la realizzazione di parchi eolici e fotovoltaici, mentre l’assessore all’Ambiente della Calabria ha posto una moratoria sulla realizzazione di parchi eolici fino all’approvazione del piano paesaggistico regionale. In entrambi i casi, l’obbiettivo è limitare l’occupazione di suolo da parte degli impianti FER.
Senza entrare nel merito delle singole scelte politiche, si tratta di un cambio di paradigma estremamente importante, che dovrebbe essere valutato attentamente anche dalla politica nazionale. Se, infatti, molti commentatori ed operatori del settore hanno evidenziato la dannosità della “forza d’attrito” della lunghezza delle procedure di permitting, in questo caso ad opporsi alla realizzazione di capacità rinnovabile sono provvedimenti appositamente pensati per questo scopo. Nel primo caso, si tratta di un ostacolo passivo e connaturato alla regolamentazione nazionale del settore (che ha peraltro visto, anche recentemente, qualche tentativo di semplificazione); nel secondo caso, si tratta di una scelta attiva, quasi un meccanismo di difesa da parte di territori preoccupati – suona quasi come un ossimoro – dall’impatto ambientale delle rinnovabili.
Si può fare una transizione energetica limitando la realizzazione di nuova capacità rinnovabile? Secondo i dati Terna, nel 2020 le FER hanno coperto il 38,2% del mix di produzione elettrica: quasi un record, superato, e di poco, solo dalla performance del 2014 (38,6% del mix). Il 52% dell’elettricità è stata prodotta dalle fonti fossili. La bilancia pende ancora troppo dalla parte degli idrocarburi perché si possa pensare di ridurre la produzione di energia rinnovabile. D’altro canto, se è vero che il diffondersi dell’efficienza energetica porterà, nel corso degli anni, a un calo della domanda generale di energia, occorre nel frattempo garantire un’adeguata sicurezza del sistema energetico e la piena copertura dei consumi.
Se la diffusione di nuova capacità rinnovabile è necessaria per la transizione energetica, bisogna concludere che la tutela del paesaggio debba essere subordinata allo sviluppo di impianti FER? Non necessariamente: ricevono crescente attenzione soluzioni di conciliazione tra impianti di produzione di energia rinnovabile e territori, come ad esempio nell’agrivoltaico. Senza contare che, a livello complessivo, i cambiamenti climatici avranno effetti ovviamente più impattanti rispetto a qualsivoglia infrastruttura.
Se, quindi, non è allo stato attuale auspicabile una riduzione nella produzione di energia rinnovabile, i sistemi di convivenza tra impianti FER e territori esistono già e sono la soluzione di maggiore praticabilità. È sulla diffusione di questi sistemi che la politica, anche come detto a livello nazionale, dovrebbe interrogarsi.
Come procedere? Una possibilità è l’individuazione di aree idonee o non idonee: in questo modo, è redatto un piano in cui si stabilisce a monte quali territori possano ospitare impianti e quali no. Tale soluzione, attualmente prevalente, presenta anche la criticità di essere altamente complessa, in quanto richiederebbe tempistiche di implementazione particolarmente lunghe. Un’altra possibilità sarebbe definire, in modo puntuale e condiviso, i criteri che costituiscono vincoli paesaggistici, prevedendo iter approfonditi nei luoghi che presentino particolari necessità di tutela (e, idealmente, snellendo contemporaneamente le procedure di permitting per la realizzazione di impianti ubicati in aree che non presentino tali necessità). In alternativa, o anche in modo complementare, si potrebbe pensare di premiare i progetti innovativi che consentano la migliore convivenza tra la vocazione di un territorio e la presenza di impianti FER. Così facendo, si consentirebbe da una parte il mantenimento di una regolamentazione omogenea su territorio nazionale, e dall’altra la possibilità di adattare gli iter autorizzativi alla realtà concreta dei singoli territori.