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Green Deal Europeo: tre temi per una discussione urgente
di Carlo De Nicola
L’Europa diventerà il primo continente a zero emissioni nette entro il 2050. Le intenzioni, almeno, ci sono tutte. Con la votazione dello scorso 15 gennaio, infatti, il Parlamento Europeo si è espresso a favore della designazione di nuovi ed ambiziosi obbiettivi di sostenibilità. Il Green Deal Europeo, ovvero l’imponente piano di politiche per la transizione energetica presentato dalla Commissione Europea lo scorso 11 dicembre, ha così mosso i suoi primi passi istituzionali.
In particolare, è stato approvato il disegno di un Fondo per una Transizione Giusta (Just Transition Fund o JTF): uno stanziamento da 7,5 miliardi per l’eliminazione socialmente ed economicamente sostenibile del carbone dall’industria europea. Sebbene l’Italia benefici di una porzione molto limitata di tale fondo (poco più di 350 milioni di euro, laddove Paesi le cui economie dipendono fortemente dal carbone, come Polonia e Germania, riceveranno rispettivamente 2 miliardi e 877 milioni di euro), il nuovo approccio UE alla transizione energetica lascia presagire molte ed importanti novità anche per il nostro Paese. Sono tre, ci pare, i temi di riflessione che dovrebbero essere oggetto di dibattito nell’immediato futuro.
Anzitutto, è opportuno notare la natura locale degli investimenti contenuti nel JTF. In base a quanto contenuto nella Proposta di Regolamento che istituisce il Fondo per una Transizione Equa, gli interventi finanziati nell’ambito di tale iniziativa possono essere utilizzati esclusivamente per attutire gli effetti sociali della dismissione delle attività altamente emissive: nell’ambito, quindi, dei territori che ospitano tali attività. Perché i fondi possano essere sbloccati, gli Stati membri devono elaborare specifici piani di investimento. Una volta vagliata la validità di questi ultimi in relazione agli obbiettivi ambientali del Green Deal Europeo ha luogo la transazione finanziaria e i fondi diventano risorse fresche per le economie locali.
La configurazione del JTF esclude gli investimenti legati al nucleare e alla produzione, alla trasformazione, alla distribuzione, allo stoccaggio o alla combustione di fonti fossili dalle possibili destinazioni. La conversione economica dei territori, quindi, non può corrispondere a una mera riduzione delle emissioni, ad esempio metanizzando impianti a carbone. Il primo tema è, quindi, come si possa operare una trasformazione così profonda se non passando da una ridefinizione sostanziale delle capacità del nostro Paese di attirare investimenti e sostenere l’impresa. In questo senso possono suonare agrodolci le parole dell’ex premier e commissario europeo per l’Economia Paolo Gentiloni, che ha sottolineato come il JTF possa “riguardare l’Ilva e la Puglia, e in particolare la zona di Taranto, tipica manifestazione di regione in transizione verso una industria meno intensiva da un punto di vista energetico. Ciò non vuol dire però che il problema dell’Ilva verrà risolto dal Just Transition Fund”.
Quanto al tema della decarbonizzazione del mix energetico, se da una parte il gas naturale è confermato come importante fonte di energia temporanea, il Green Deal Europeo intende agevolare la diffusione in tempi brevi di infrastrutture per la diffusione e lo stoccaggio di gas decarbonizzato, come il biometano e l’idrogeno verde. Si tratta di una fonte di energia che può beneficiare in larga misura delle infrastrutture gas esistenti e che stanno venendo costruite sempre più capillarmente in Europa: ecco perché, attraverso investimenti che verranno attivati, verosimilmente, nell’ambito di InvestEU, il Green Deal Europeo lascia aperta la possibilità di un’ulteriore espansione della rete gas.
Per questo motivo, il secondo tema che occorrerà affrontare nell’immediato futuro è quanto sia importante investire ancora in infrastrutture per lo stoccaggio e la distribuzione di gas alla luce del fatto che, abbandonato il gas “fossile”, tali infrastrutture potranno avere comunque un ruolo importante per i consumatori di energia. Come mai, ancora oggi, questo tipo di infrastrutture è considerato un investimento che blinderà l’Europa nel mix energetico fossile, quando la direzione è quella di un evoluzione in senso rinnovabile dell’intera filiera del gas?
Il terzo tema di riflessione riguarda le stesse fonti rinnovabili che, almeno nel nostro Paese, non sono immuni da controversie. Il Green Deal Europeo considera prioritaria la realizzazione del pieno potenziale eolico onshore e, soprattutto, offshore degli Stati membri. Posta la cronica difficoltà del nostro Paese a dotarsi di infrastrutture, sarà necessario impostare un dibattito sistematico e privo di ideologismi sul rapporto tra territori e industria, anche nell’ambito della cosiddetta “industria verde”, in modo da prendere consapevolezza delle importanti trasformazioni che la transizione porterà con sé. Ben vengano le rinnovabili, ma c’è disponibilità a costruire parchi eolici? Ben venga la plastica riciclata, ma c’è disponibilità a costruire nuovi impianti? Per quanto possa sembrare tautologico, l’industria sostenibile è pur sempre industria.
Questa primissima fase del Green Deal Europeo ci vede senza dubbio tra i Paesi più virtuosi. Tuttavia, i cambiamenti ci saranno: e saranno rapidi, incisivi e profondi, probabilmente più di quanto non siamo abituati a pensare. Il nostro Paese dovrà rimettere in discussione molte regole, molti punti del proprio PIL, molti posti di lavoro. Siamo pronti ad affrontare questa discussione?