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Eolico in Italia, nel 2019 non soffia aria di novità
di Carlo De Nicola
O, soffiando, l’Italia non riesce a convertirla in energia pulita. Queste le conclusioni che si possono trarre dal rapporto Wind energy in Europe in 2019, pubblicato da Wind Europe nella seconda metà di febbraio 2020. Stante un anno piuttosto positivo per l’eolico in Europa, con una crescita di 15,4 GW in Europa (di cui 13,2 GW nella sola UE) pari al +27% rispetto al 2018, in Italia la produzione di energia elettrica dal vento è salita di appena 456 MW: il 5% della crescita totale europea.
Certo, l’Italia rimane il quinto Paese per installazione di eolico in Europa. Ma, trattandosi di un Paese con un fabbisogno elettrico elevato, l’eolico non copre che il 7% della domanda nazionale. Poco, rispetto a un competitor industriale come la Germania, che copre un quarto del proprio fabbisogno grazie al vento a fronte di un consumo totale ben superiore, o alla Spagna, che pur con consumi energetici inferiori ma paragonabili a quelli italiani, copre il 21% del proprio fabbisogno: il triplo rispetto al dato relativo allo Stivale.
Se può essere “facile” dire che l’eolico rappresenta, per l’Italia, una risorsa ancora in larga parte sottosfruttata, occorre anche prendere coscienza del fatto che un sistema energetico complesso come quello italiano per essere convertito richieda tempo, investimenti e normative adatte. C’è quindi bisogno di rendere normale la sostenibilità, farla entrare nelle naturali prassi di business.
Partendo dall’origine: costruire un mercato. Ovvero, ènecessario dotarsi di strumenti tali da incoraggiare la produzione di energia rinnovabile e accrescerne il valore per le aziende. Ad esempio, i Power Purchase Agreement sono da tempo riconosciuti come tipologie contrattuali in grado di incentivare la produzione, l’acquisto e il consumo di energia rinnovabile, fornendo certezza dell’approvvigionamento all’acquirente e certezza dell’acquisto al produttore. Come tali, possono contribuire in modo determinante a costituire un futuro in cui, tra energia inquinante ed energia pulita, conviene scegliere la seconda.
In secondo luogo: mobilitare l’impresa privata. Per quanto grandi siano le risorse mobilitate dalle istituzioni europee e nazionali, la transizione energetica non deve essere interamente in capo alla finanza pubblica. Occorre invece far sì che il privato che desidera investire sul futuro sostenibile, sia rassicurato non solo sulla convenienza economica dell’investimento, ma anche sull’affidabilità e la stabilità del quadro normativo. Può, in tal senso, suscitare qualche riflessione la recente procedura di infrazione nei confronti dell’Italia il mancato allineamento della normativa nazionale per il rilascio della VIA rispetto agli standard europei. La fase di permitting non può essere disincentivante rispetto all’impegno privato: per questo motivo, regole certe, precise e snelle sono vitali per liberare risorse per investimenti sostenibili.
In terzo luogo: puntare sulla tecnologia. Giustamente il PNIEC considera le operazioni di revamping e repowering dell’eolico strategiche per aumentare la produttività e la redditività dei parchi eolici. In altri termini, se grazie a nuove tecnologie un impianto esistente può diventare più produttivo, queste tecnologie devono essere privilegiate il più possibile, incrementando sostenibilità, sicurezza e affidabilità dell’energia rinnovabile prodotta.
Che aria tira, quindi, sull’eolico in Italia? I presupposti per la crescita ci sono tutti, e la maggior parte di quanto detto sopra è stato “promesso” dal PNIEC, per essere ora gradualmente assorbito dalla normativa. Ma, visti gli obbiettivi di energia rinnovabile estremamente ambiziosi dell’Italia, potrebbe essere auspicabile che il vento della sostenibilità iniziasse a spirare un po’ più forte sul Bel Paese.