Dalle Istituzioni, Energia Elettrica, Governo, In Primo Piano, Produzione di Energia, Rinnovabili, Unione Europea
Cosa si è deciso (e non deciso) alla COP21
La Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi ha raggiunto uno storico accordo il 12 dicembre scorso tra i 195 Paesi partecipanti, riuscendo a fissare importanti proponimenti come l’urgenza di decarbonizzare le nostre economie e a mettere d’accordo Stati con interessi affatto divergenti. Per la prima volta si tratta di un’intesa globale, che coinvolge anche i Paesi che emettono la quota maggiore di emissioni climalteranti, ossia i Paesi in via di sviluppo. L’accordo andrà sottoscritto tra aprile del 2016 e aprile 2017, e se importanti Paesi come India e Cina firmeranno, si potrà dire avvenuto l’effettivo superamento del protocollo di Kyoto.
Tre sono quasi unanimemente considerati i punti qualificanti del testo:
- il contenimento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali e l’impegno nella limitazione dell’aumento della temperatura a 1,5 °C;
- la revisione programmata degli impegni nazionali ogni 5 anni, al fine di renderli più ambiziosi (la prima verifica dell’applicazione degli impegni è fissata al 2023, i cicli successivi saranno quinquennali);
- e il rafforzamento del meccanismo Loss & Damage, cioè le compensazioni economiche per sostenere i Paesi in via di sviluppo in mitigazione e adattamento: è previsto un fondo da 100 miliardi di dollari all’anno come base di partenza.
Tra i punti deboli i critici ravvisano in primo luogo la mancanza di un obiettivo chiaro, con dei numeri precisi sulle riduzioni dei gas serra, rispetto alla scelta operata di un obiettivo di lungo termine sul contenimento delle temperature. In particolare gli INDC (Intended Nationally Determined Contributions), i piani volontari presentati in vista della conferenza di Parigi dai singoli Stati in materia di riduzione della CO2, oltre a non essere effettivamente vincolanti, solo molto difformi da Paese a Paese. Inoltre le Nazioni Unite hanno certificato che la riduzione delle emissioni cumulativa contenuta negli INDC, ammesso che sia poi concretamente raggiunta, porterebbe a un riscaldamento globale di almeno 2,7 °C in più rispetto ai livelli preindustriali, ben oltre le soglie negoziate. L’ accordo, dunque, non è ancora legalmente vincolante e non prevede sanzioni, con in più la possibilità per ciascuna “parte contraente”, trascorsi tre anni dalla stipula, di ritirarsi, sempre senza alcuna penalità.
Rinnovabili non citate eppure protagoniste
È difficile prevedere cosa accadrà a seguito dei della COP21. Implementare gli accordi di Parigi non sarà facile e molto dipenderà dalle politiche adottate dagli Stati e da quanto accadrà spontaneamente nel mercato tra gli operatori economici. Il business dei combustibili fossili è di fatto già in costante calo, sebbene ancora mantenga una posizione di assoluta redditività e predominanza, mentre l’economia circolare e le fonti rinnovabili continuano a crescere.
Sebbene nel testo dell’Accordo di Parigi, non si faccia esplicito riferimento ad una crescente implementazione delle energie rinnovabili, esperti e rappresentanti del settore sono certi che gli obiettivi di temperatura a lungo termine e la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra costringeranno i Paesi a perseguire l’incentivazione della produzione di energia pulita per riuscire a raggiungere gli obiettivi dichiarati.
Ma per le fonti rinnovabili si tratta di un trend di crescita –spinta soprattutto da fattori economici – già in atto. Si pensi che in Italia nel 2015 le rinnovabili elettriche sono risultate in costante incremento, con il fotovoltaico a fare la parte del leone (+33,8% su novembre 2014). I dati dell’ultimo rapporto mensile di Terna dicono infatti che il nostro Paese è arrivato ad avere una generazione di 23,8 TWh da solare fotovoltaico, ossia quasi il 13% in più rispetto alla produzione del periodo gennaio-novembre 2014. A fine novembre questa elettricità solare rappresentava il 23,2% di tutta la generazione da rinnovabili, l’8,2% della domanda elettrica nazionale e il 9,6% della produzione elettrica nazionale.