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Concorrenza e vendita di elettricità. A che punto siamo col brand unbundling?
Come in tutti i mercati di vendita concorrenziali o che aspirino ad esserlo, anche nella vendita di energia elettrica il marchio svolge una funzione fondamentale: riconoscibilità, reputazione, ricorrenza di un brand sono aspetti che influiscono nella scelta dell’utente per affidarsi ad una società piuttosto che un’altra. La politica del brand è esiziale nell’orientare le scelte del consumatore, per questo è bene che sia improntata alla massima trasparenza ed apertura. Questo è ancora più vero nell’ottica di un progressivo abbandono del Mercato della Tutela, come previsto dal DDL Concorrenza, il cui esame dovrebbe riprendere a breve: a quel punto il mercato avrà bisogno che gli ingranaggi della concorrenza siano perfettamente oleati e in grado di garantire la più ampia e trasparente gamma di opzioni al cliente, senza distorsioni.
Mentre il mercato della distribuzione dell’energia elettrica è “chiuso” (in ciascuna area la distribuzione viene data in concessione ad un unico operatore), la vendita è caratterizzata da una pluralità di operatori che operano in maniera concorrenziale. Il brand unbundling è proprio quella pratica commerciale volta a chiarire l’obbligo di distinzione tra l’impresa che si occupa di vendita di energia elettrica e quella che opera nella distribuzione attraverso la politica di comunicazione e di marchio. L’Unione Europea stessa ha introdotto il divieto di generare confusione con le politiche di marchio (Direttiva 2009/72/CE) e l’Italia lo ha già recepito nel decreto legislativo 93/2011. Eppure ancora oggi la situazione – per quel che riguarda il mercato dell’elettricità – non può dirsi risolta, tanto è vero che la politica di marchio dei due principali distributori (Enel Distribuzione e Acea) è ancora tale da ingenerare sostanziale identificazione tra le società di vendita e distribuzione dei rispettivi Gruppi. Il cliente quindi non riesce a distinguere tra venditore e distributore, considerandoli un’unica realtà societaria; sorge così un vantaggio competitivo a favore della società di vendita che non favorisce la concorrenza del mercato libero dell’energia.
Come mai ci troviamo ancora a questo punto, nonostante una norma del 2011 volta a modificare questo status? L’Autorità per l’Energia aveva manifestato l’intenzione di introdurre misure operative per la netta separazione dei marchi dei rami aziendali responsabili della distribuzione e della fornitura di un’impresa verticalmente integrata, al fine di rendere la legislazione nazionale più efficace. Nel luglio scorso l’Autorità infatti ha pubblicato la Delibera 296/2015 ‘Disposizioni in merito agli obblighi di separazione funzionale (unbundling) per i settori dell’energia elettrica e gas’. Questa delibera ha però visto il ricorso di Enel Servizio Elettrico e Enel Distribuzione. Le società affermavano tra le altre cose come il D.Lgs 93/2011 di attuazione del Terzo pacchetto Ue non attribuisse all’Aeegsi la competenza regolatoria in materia di separazione del marchio, lasciando invece le imprese “libere di determinare al proprio interno le modalità organizzative idonee a conformarsi ai divieti in questione”. Il TAR Lombardia, con una recentissima sentenza ha ritenuto infondate le motivazioni di due ricorsi di Enel: l’Autorità, con quella delibera, voleva rendere operative le indicazioni del decreto legislativo, che all’articolo 38 le riconosce il potere di “vigilare” sul rispetto delle disposizioni sul brand unbundling. Il diavolo sta nei dettagli ed è proprio su questo termine, “vigilare” (e non ad esempio “attuare” o “adottare provvedimenti”) che i ricorrenti mettono in dubbio il potere dell’Autorità e quindi l’impianto esecutivo della delibera. Il TAR Lombardia per ora, come abbiamo visto, dà loro torto. Ma i rischi che la piena attuazione del brand unbundling sia ancora un miraggio permangono: vi sono infatti ancora due ricorsi pendenti al TAR e, inoltre, esiste una possibilità di controricorso da parte di Enel al Consiglio di Stato. E intanto dal 2011 sono già trascorsi cinque anni.