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Parte la Consultazione per il Bilancio di Sostenibilità obbligatorio
Con l’avvio della consultazione pubblica si può dire abbia ufficialmente preso il via l’iter che entro il 6 dicembre di quest’anno porterà il nostro Paese a dotarsi di uno strumento normativo che obblighi le grandi aziende a redigere un bilancio di sostenibilità.
La direttiva 202014/95/UE del 26 giugno 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio individua infatti nelle informazioni di natura ambientale e sociale, attinenti al personale, alle politiche di diversità, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione sia attiva sia passiva, quelle aree per le quali le società saranno tenute a divulgare notizie circa le politiche adottate. Il termine di recepimento, a livello europeo, è fissato al 6 dicembre 2016, con previsione di applicazione delle relative disposizioni a partire dagli esercizi finanziari aventi inizio il 1° gennaio del 2017 o nel corso dello stesso anno. In questo senso il governo ha inteso lavorare con discreto anticipo e aprire al confronto su un tema non così politicamente sensibile forse, ma che di certo avrà un impatto importante – a seconda della profondità dell’intervento normativo che si deciderà di assumere – sulla vita di molte Aziende.
Dal 3 maggio e fino al 3 giugno, dicevamo, è online la procedura di Consultazione attraverso il quale il Dipartimento del Tesoro intende acquisire i primi orientamenti e le osservazioni che i soggetti interessati volessero segnalare. Obbiettivo dichiarato è proprio quello di voler raccogliere e valutare le scelte di policy che saranno poi normate nel testo legislativo, anch’esso posto in consultazione, a recepimento della direttiva.
I contenuti della Consultazione
Il primo vero quesito della consultazione riguarda l’ambito di applicazione della direttiva stessa: essa impone infatti l’obbligo di comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario alle imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico (banche, compagnie assicurative,..) e agli enti di interesse pubblico che sono imprese madri di un gruppo di grande dimensioni aventi in media più di 500 dipendenti su base consolidata. Una platea ampia ma tutto sommato definita e che, come è evidente, tiene volutamente lontane le PMI. Quello dell’eventuale ampliamento della platea di aziende soggette al futuro obbligo di rendicontazione non finanziaria è un tema che comunque viene posto a quesito, visto che le PMI tutto sommato rappresentano la stragrande maggioranza del nostro tessuto produttivo.
Un altro elemento dirimente della Consultazione è quello degli indicatori: i bilanci dovranno essere pubblicati ma sarà difficile effettuare una valutazione delle performance non finanziarie senza standard omogenei tra i Paesi. Nell’ottica quindi di agevolare la comunicazione delle informazioni da parte delle imprese, la Commissione Europea, in forza di quanto previsto dalla stessa direttiva, sta attualmente elaborando orientamenti non vincolanti, che includano indicatori di riferimento (c.d. key performance indicators -KPIs) non finanziari, generali e settoriali. Se tuttavia da un lato la flessibilità prevista dalla direttiva in materia di standard di rendicontazione può costituire un beneficio per le imprese garantendo loro maggiore flessibilità, dall’altro può ridurre il grado di uniformità nelle dichiarazioni non finanziarie.
Il perché di una direttiva
Dal punto di vista del mercato, è innegabile che nell’ultimo decennio i processi di globalizzazione abbiano spinto la sfida competitiva non solo sul piano del prodotto/servizio, ma anche su quello dell’“universo valoriale” dell’azienda. È sempre più evidente quindi come la Responsabilità Sociale d’Impresa, da concetto teorizzato a livello accademico sia diventato oggi un vero e proprio asset aziendale. Una leva sulla quale le imprese vedono sempre più l’opportunità ad investire e che offre enormi occasioni di comunicazione nei confronti dei propri interlocutori, sia interni che esterni. L’Unione europea ha invece scelto la strada dell’obbligatorietà per introdurre dentro le Aziende princìpi di “buona condotta aziendale”. Una strada non semplice per via della difformità normativa che esiste tra i Paesi, ma soprattutto per la concezione stessa che ciascuno di noi ha del ruolo di un’azienda nella società. La direttiva se da un lato ha il vantaggio di creare un “comune denominatore” per le performance aziendali, facendo familiarizzare le aziende con questi processi, rischia tuttavia di rendere la “rendicontazione sociale” un mero adempimento procedurale. Starà sempre e solo all’azienda quindi saper valorizzare nei confronti dei propri stakeholder (dipendenti, azionisti, clienti, politica, opinion leader…) la sua capacità di stare sul mercato in maniera sostenibile e costruendo valore.