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Regolamentazione dell’attività di lobbying, la #voltabuona?
Dopo decine di tentativi andati a vuoto sarà la volta buona?
Sono proprio decine i progetti di legge volti a normare la rappresentanza di interessi – presentati da esponenti di tutti gli schieramenti politici nel corso degli ultimi 20 anni – ma mai andati a buon fine.
Ciò è accaduto sicuramente per una scarsa attenzione al tema da parte dei governi, ma, dobbiamo ammetterlo, anche per una malcelata riluttanza del sistema decisionale a sottoporsi a regole certe nel gioco delle influenze con i gruppi di pressione.
In un’economia democratica non esiste un solo, unico interesse pubblico o generale.
Del resto, cosa mai potrebbe essere ecumenicamente definito interesse generale? E chi potrebbe mai decidere se questo o quell’interesse (giocoforza inizialmente esposto da una parte) può diventare interesse mediamente rappresentativo tra tutti quelli in gioco, per poi trasformarsi in interesse generale?
Le lobby esistono in quanto supportano legittimamente interessi in specifici settori, all’interno dei quali vengono prese decisioni pubbliche da soggetti istituzionali. Si tratta naturalmente per lo più di interessi economici, e non potrebbe essere diversamente. La chiave del gioco è rappresentata dalla trasparenza dell’interesse e dell’azione che viene messa in campo dal suo portatore.
Sappiamo bene che la parola “lobby” evoca spesso scenari apocalittici e grotteschi, in cui il malaffare sembrerebbe farla da padrone assoluto. Probabilmente la percezione negativa dell’attività lobbistica prende forma da un limite culturale tutto italiano, ma non escluderei a priori anche una responsabilità dei mezzi di comunicazione, che approcciano il fenomeno con una certa dose di prevenzione (“la lobby brutta, sporca e cattiva”) e con qualche scivolata superficiale.
Il panorama italiano del lobbying è certamente variegato e composito e non negherò di certo la presenza di zone grigie e di approcci creativi alla materia. Ma oggi esso dà sempre più chiaramente una buona prova di sé, soprattutto grazie alla crescita di professionisti che interpretano l’attività con serietà, competenza e rigore, e che sviluppano l’attività di “public affairs” all’interno di aziende, di associazioni di categoria, di organizzazioni non profit, di rappresentanze sindacali e, naturalmente, attraverso società di consulenza a disposizione dei vari clienti.
Manca però, come detto, un pezzo importantissimo del quadro: una regolamentazione definita dell’attività di lobbying, chiesta da più parti ma puntualmente rimandata e lasciata all’indeterminatezza volontaristica. Un vero “vulnus” per il processo partecipativo democratico, a parere di molti.
Mentre in Commissione Affari Costituzionali del Senato si affronta, proprio in questi giorni, il tema della “rappresentanza di interessi” con l’esame di alcuni disegni di legge che – finalmente – potrebbero portare ad una regolamentazione complessiva dell’attività lobbistica, mi piace qui sottolineare qualche elemento che probabilmente contribuirebbe alla causa.
Innanzitutto sarebbe a mio giudizio utile l’istituzione di un Registro dei Portatori di interesse, pubblico e trasparente, che dia visibilità a chi rappresenta cosa e con quali obiettivi. Molto importante sarebbe anche organizzare una forma condivisa e chiara di accesso ai “palazzi”, evitando sotterfugi e furbate, soprattutto durante i lavori di esame dei provvedimenti in commissione. Bisognerebbe certamente concepire ed applicare un pacchetto di obblighi di trasparenza sia a carico degli operatori che a carico dei decisori che maneggiano quotidianamente gli iter legislativi.
Per molte di queste regolette, basterebbe “copiare” quello che è stato fatto in altri Paesi, o all’Unione Europea: tra queste, il divieto delle cosiddette “porte girevoli”, ossia l’impossibilità – statuita per legge – per chi è stato amministratore pubblico, parlamentare, consigliere regionale (e così via) di esercitare attività di lobbying se non dopo qualche anno di pausa; attenzione maniacale ai possibili conflitti di interesse; quadro sanzionatorio disincentivante per chi opera in assenza di trasparenza.
Molte di queste norme sono contenute, con differenze più o meno importanti, in tutti i disegni di legge che i senatori della Commissione Affari Costituzionali esamineranno nei prossimi giorni. A loro l’augurio di valutare per il meglio e di concepire la migliore regolamentazione possibile, nell’interesse di operatori, politici e, soprattutto, cittadini.
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