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Le principali censure della Corte Costituzionale alla legge sull’autonomia differenziata
di Matteo Apicella
Il 3 dicembre la Corte Costituzionale ha depositato la sentenza n. 192 del 2024 sulle questioni
di costituzionalità relative alla legge di attuazione dell’art.116 terzo comma della Costituzione, la cd. Legge sull’autonomia differenziata.
Il ricorso era stato presentato dai Consigli Regionali di Toscana, Puglia, Campania e Sardegna. L’esito della sentenza era stato già preannunciato nel comunicato del 14 novembre, che anticipava l’illegittimità costituzionale di varie parti del provvedimento. Tuttavia, le motivazioni sembrano colpire in profondità l’intero asse portante della riforma, vincolando il Parlamento ad una sua modifica quando, come noto, il provvedimento è già stato approvato da entrambe le Camere. La sentenza dunque dichiara l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni del provvedimento, mentre limita l’applicazione di altre, giudicandole conformi alla Costituzione soltanto se interpretate in uno specifico modo.
Il primo punto toccato dalla Consulta è quello del necessario contemperamento del principio dell’autonomia differenziata con altri principi costituzionali, come quello della sussidiarietà verticale (che prevede sia scelto, per ogni specifica funzione, il livello territoriale più adeguato ed in grado di esercitarla in modo efficiente) e dell’indivisibilità della Repubblica. Tale bilanciamento non può essere fatto in modo astratto, ma con “un approfondita istruttoria” che caso per caso motivi concretamente perché assegnare determinate funzioni agli enti locali o allo Stato centrale. Questo ragionamento porta i giudici costituzionali a ritenere che non siano possibili trasferimenti alle Regioni di intere materie, ma soltanto di determinate funzioni all’interno delle materie stesse. Proprio perché l’eventuale trasferimento di materie alle Regioni deve assecondare il bene collettivo ed il principio di efficienza, la Corte ha individuato una lista competenze non devolvibili quali: il commercio con l’estero, la tutela dell’ambiente, la produzione e la distribuzione dell’energia, le grandi reti di trasporto e di navigazione, compresi i porti e gli aeroporti civili, l’ordinamento delle professioni e quello della comunicazione. In questi casi, infatti, anche per la presenza di vincoli sovranazionali, non sarebbe possibile una gestione efficiente a livello regionale.
Un’altra questione all’attenzione dei giudici costituzionali riguarda la definizione e l’aggiornamento dei LEP (Livelli essenziali di prestazioni), ossia quei servizi e quelle prestazioni che lo Stato deve garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, al fine di salvaguardare l’esercizio dei diritti fondamentali. Il Governo ha nominato, nel marzo 2023, un comitato di esperti per la definizione dei LEP, che tuttavia non è arrivato a conclusioni definitive. Nel complesso, per i giudici costituzionali tale processo configura una violazione dell’art. 76, attribuendo al Governo un’eccessiva discrezionalità nella determinazione dei LEP, a scapito del Parlamento. Situazione che si ripete sia nell’aggiornamento dei LEP, attualmente affidato ad un decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri – atto che non prevede in nessun modo la partecipazione del Parlamento -, che nell’approvazione dell’intesa con la Regione, delegata ad un disegno di legge da approvare in Consiglio dei Ministri e che poi le Camere dovrebbero ratificare senza modifiche. Al contrario, è necessario un coinvolgimento sostanziale di Camera e Senato che, in quanto titolari del potere legislativo, devono avere piena facoltà di discutere quell’accordo, modificarlo, o integrarlo.