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Dalla pandemia all’intelligenza artificiale: il lavoro (ci) cambia
di Giovanni Galgano
Il 21 marzo 2020, in piena emergenza coronavirus, ci interrogavamo su questa newsletter a proposito del “nuovo mondo del lavoro” che stavamo forse inconsapevolmente contribuendo a creare, basato sulla digitalizzazione di gran parte delle nostre attività e su una forzosa virtualità dei rapporti professionali e quindi umani. Tre anni fa le peculiarità del nostro lavoro ci consentirono, tutto sommato velocemente, di adattarci all’operatività “da remoto”, e di aggirare almeno in gran parte le oggettive limitazioni agli spostamenti, ai viaggi di lavoro, alle riunioni, agli eventi: tutti elementi centrali della nostra attività consulenziale, almeno fino a quel momento.
Non potevamo allora immaginare (o forse sì, pensandoci meglio) che parole d’ordine come home working, smart working o video-riunione diventassero perno non solo di un nuovo modo di lavorare ma che addirittura assurgessero a elementi decisivi dell’offerta flessibile di lavoro da parte delle aziende (e della scelta di chi accetta un nuovo incarico all’interno di un nuovo team).
Oggi dobbiamo prepararci ad una nuova grande sfida apparecchiata dall’avanzata impetuosa dell’Intelligenza Artificiale, che, sotto diverse forme, andrà a condizionare e modificare pesantemente il modo di lavorare quotidiano, anche nell’erogazione dei servizi alle imprese: lo sta già facendo.
Secondo il World Economic Forum questa tecnologia eliminerà ben 85 milioni di posti di lavoro entro il 2025, creandone al contempo nuovi 70 milioni. Saranno molti di più, probabilmente in un tempo meno ristretto, ma molti di più. Come sempre accaduto nei momenti epocali di passaggio e di trasformazione economica e tecnologica, ne comprenderemo solo tra poco appieno le opportunità oltre che i rischi.
L’intelligenza artificiale, se utilizzata correttamente, potrà aiutarci in una enorme quantità di situazioni collettive o personali: dalla salute pubblica alla prevenzione, dalla lotta al cambiamento climatico all’efficientamento della produzione agricola, dalla logistica alla distribuzione. Ci saranno contrazioni in alcuni settori lavorativi, come ad esempio quelli basati sull’inserimento e l’elaborazione di dati, o sulla creazione di contenuti, ma assisteremo al contempo alla veloce nascita di nuovi e oggi impensabili profili professionali: nel 2007 avremmo mai pensato di poter diventare dei social media manager, o degli influencer? O dei biker di Glovo? Scopriremo dunque nuovi bisogni e nuove competenze: lo stiamo già facendo.Nel settore della consulenza strategica l’AI arriva e inciderà: stiamo scoprendo e scopriremo come, lavorando giorno per giorno cercando di governare questo processo. Ma continueremo a coltivare le competenze che ci rendono unici come esseri umani: le soft skills legate all’intelligenza emotiva e alle abilità che ciascuno di noi possiede. Competenze tecniche, sì, ma vieppiù relazionali ed emozionali: come interagiamo con i colleghi o con i clienti, come risolviamo i problemi e come gestiamo il tempo e le strategie. Per quanto raffinata e abbagliante sia l’avanzata dell’AI, non vorremo sostituire un consulente politico o un lobbista con un bot, per quanto efficiente e veloce possa essere. Gli mancherà sempre il nostro sorriso.