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Comunità Energetiche: limiti della normativa, opportunità e prossimi passi
di Caterina Castellani
La transizione energetica, intesa come costruzione di un nuovo modello di organizzazione sociale basato su produzione e consumo di energia da fonti rinnovabili, è ormai un tema improrogabile.
Parliamo in altre parole, di una futura rinascita in chiave realmente sostenibile.
In questo contesto, l’attivazione di comunità energetiche propongono “nuove forme di azione collettiva e di economie collaborative” in cui produzione e consumo danno vita a nuovi sistemi di scambio. Grazie alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali e agli incentivi fiscali, le comunità energetiche costituiscono i punti cardine della transizione energetica e del percorso di decarbonizzazione italiano. Rappresentano inoltre un’opportunità per la creazione di nuovi modelli di green economy.
Lo studio di settore, realizzato da Elemens per Legambiente stima infatti per il 2030 fino 17 GW di nuova capacità rinnovabili attivabile tramite le comunità energetiche e autoconsumo collettivo.
Tuttavia, perché ciò avvenga, il legislatore deve completare il quadro normativo.
La strada l’ha aperta il cd. Decreto Milleproroghe del 2020 che ha consentito il recepimento parziale della direttiva 2018/2001 (RED II) sullo sviluppo delle fonti rinnovabili con cui l’Europa ha chiesto agli Stati membri di favorire al massimo la possibilità di autoconsumare l’energia prodotta, anche collettivamente, e di normare giuridicamente le cosiddette “comunità di energia rinnovabile” (Cer).
Poi, con un decreto del Mise, attraverso l’introduzione di tariffe incentivanti è stata ulteriormente potenziata la promozione dell’autoconsumo e delle comunità energetiche. Così i territori hanno cominciato a organizzarsi in Italia dove a spingere molto il percorso di recepimento della direttiva è stato Gianni Girotto, Presidente della Commissione Industria del Senato e sostenitore fin dalla prima ora delle comunità energetiche.
La cornice normativa attuale, proprio perché incompleta, limita le possibilità. Tra le barriere per il pieno sviluppo delle Cer, il tema del perimetro delle comunità o la taglia massima degli impianti, che ne riducono le potenzialità. Il pieno recepimento delle direttiva RED II (il cui termine ultimo di recepimento è giugno 2021) e l’integrazione con quella per il mercato interno dell’energia elettrica (il cui termine di recepimento è scaduto a dicembre 2020, motivo per cui l’UE ha aperto una procedura di infrazione nei nostri confronti) né amplierebbero il raggio di applicazione.
Nel mentre, lo scorso 12 marzo è stata inaugurata la prima comunità energetica del Paese, a Magliano Alpi, in provincia di Cuneo. Si chiama “Comunità Energetica Rinnovabile Energy City Hall”, è un’associazione, registrata all’Agenzia delle Entrate, e, in qualità di coordinatore e prosumer della Cer, il Comune ha messo a disposizione un impianto fotovoltaico da 20 KW che potrà condividere con la comunità l’energia prodotta e non autoconsumata dall’amministrazione.
In Italia ci troviamo in una fase iniziale di costituzione delle comunità energetiche rinnovabili, che però è cruciale affinché il recepimento della RED II sia più funzionale e adeguato possibile per raggiungere più velocemente gli obiettivi posti.
Le comunità energetiche possono rappresentare la chiave in grado di innescare un circolo virtuoso di vantaggi e benefici ambientali, sociali ed economici diretti. Bisogna però eliminare gli attuali vincoli permettendo ad esempio di realizzare comunità energetiche in distretti industriali o artigiani, riunendo assieme la pluralità di attori che operano lungo l’intera filiera di uno stesso comparto. O ancora si potrebbero applicare a contesti rurali caratterizzati da una bassa densità di popolazione, come ad esempio alcune realtà agricole o in contesti montani. Allora sì, le Energy Community potrebbero crescere e contribuire in modo decisivo alla produzione energetica green 2030.