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Il primo mese del Governo Draghi: i partiti si riorganizzano
di Carlo De Nicola
A un mese esatto dall’accettazione del mandato di Presidente del Consiglio da parte di Mario Draghi, i partiti che compongono la maggioranza – e in particolare i principali protagonisti del Governo precedente, Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle – stanno attraversando una fase di profonda trasformazione e ridefinizione.
Partendo dalla compagine pentastellata, ha suscitato grande scalpore l’annuncio, da parte del garante Beppe Grillo, di un prossimo avvento dell’ex premier Giuseppe Conte alla leadership del M5s. Il “partito di Conte” di cui molto si è parlato negli ultimi mesi potrebbe, pertanto, essere in sostanza un MoVimento 5 Stelle “riformato”, cogliendo anche l’occasione della momentanea prevalenza della corrente “governista” (ossia quella parte di M5s favorevole ad alleanze politiche anche di lungo periodo e in ultimo alla trasformazione del MoVimento in un partito a tutto tondo) su quella “ortodossa” (la parte più vicina all’originaria impostazione anti-establishment e movimentista, colpita duramente dalle espulsioni che hanno seguito l’ingresso dei 5 Stelle nel nuovo Esecutivo).
Se da una parte si attende la presentazione ufficiale, da parte di Conte, di un programma per la guida del M5s, dall’altra è probabile che il percorso non sia privo di difficoltà: ad esempio, secondo indiscrezioni circolate negli ultimi giorni, sull’agenda dei “governisti” sarebbe l’abolizione del vincolo di mandato, uno dei principali pilastri della politica 5 Stelle delle origini. Si penserebbe, in particolare, a un criterio meritocratico che consenta ad alcuni parlamentari particolarmente importanti di tornare a Palazzo Madama o a Montecitorio per continuare, forti dell’esperienza acquisita, a portare avanti le politiche proposte dal MoVimento. Se, secondo i sondaggi, la leadership di Conte potrebbe consentire al M5s di capitalizzare il consenso ottenuto dall’ex premier nel corso degli ultimi anni, è anche vero che la “partitizzazione” potrebbe comportare l’allontanamento definitivo di quelle sensibilità ancora vicine al MoVimento delle origini, che potrebbero finanche confluire in un nuovo, ed indipendente, soggetto politico con il supporto di una parte della base elettorale pentastellata.
Per quanto riguarda il PD, le dimissioni di Nicola Zingaretti hanno portato alla nomina di Enrico Letta a segretario: con la quasi totalità dei voti favorevoli da parte dell’assemblea dei dem, l’ex premier ha annunciato di voler superare il correntismo che caratterizza da sempre il PD (e, in generale, il centrosinistra nostrano), rilanciando l’idea di un partito coeso nella partecipazione di sensibilità anche diverse. Su alcuni temi chiave – segnatamente l’alleanza di lungo periodo con il MoVimento 5 Stelle – la leadership Letta si colloca almeno momentaneamente in piena continuità con quella di Zingaretti: l’ex premier ha infatti annunciato di voler avviare da subito colloqui con Conte e gli altri vertici pentastellati, che hanno dal canto loro molto apprezzato questi primi segnali di apertura.
Infine, si riassestano gli equilibri anche nel centrodestra. La formazione più moderata, Forza Italia, è stata premiata – così, almeno, le rilevazioni demoscopiche – dal suo sostegno al Governo Draghi. Anche nella Lega di Matteo Salvini iniziano a prevalere sensibilità politiche più moderate: dopo l’iniziale chiusura alla possibilità di confluire in un Governo di larghe intese, il Carroccio ha sciolto le riserve dando piena disponibilità a collaborare all’interno dell’Esecutivo, dove peraltro ricopre incarichi particolarmente strategici per la sua agenda politica (Sviluppo economico, Turismo, Disabilità). Su un piano più prettamente strategico, tale svolta è almeno in parte motivata dal desiderio di trovare un posizionamento alternativo al sovranismo su cui, negli ultimi mesi, si è consolidata Giorgia Meloni e il suo Fratelli d’Italia.