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Lobbying a Bruxelles: tra nuove regole e aspettative tradite
di Caterina Castellani
Chi si trova a svolgere attività di lobbying a Bruxelles non ha la necessità di spiegare il proprio ruolo, perché è già ampiamente riconosciuto da parte di tutto l’ecosistema che gravita attorno le istituzioni europee (provate a dire che siete lobbisti sorseggiando un aperitivo a Place Lux, non riceverete in cambio nessuna espressione guardinga o interrogativa). Per il lobbista, l’Unione europea è un terreno preparato, maturo, dove le regole di ingaggio sono chiare e precise.
Alla base del rapporto tra lobbisti e istituzioni sta la trasparenza.
Questa viene consentita, in primo luogo, dall’esistenza di un registro dei rappresentanti di interesse che, tra le altre cose, consente ai lobbisti di avere accesso ai locali del Parlamento europeo o di ricevere le comunicazioni della Commissione sulle future tabelle di marcia o sulle consultazioni pubbliche.
Stando a quanto reso noto dal Parlamento europeo, attorno alle istituzioni dell’Ue orbitano oltre 82 mila lobbisti impegnati a influenzarne l’agenda. Quelli accreditati per entrare nell’edificio sono 7.094, mentre sono 11.821 i gruppi di pressione iscritti al Registro per la trasparenza (dati del 22 maggio 2019), istituito nel 2011. Ne fanno parte multinazionali, ma anche associazioni di categoria, organizzazioni non governative, centri di ricerca, società di consulenza, studi legali, organizzazioni rappresentative di chiese e comunità religiose.
Nella legislatura appena conclusasi, i deputati europei hanno cercato sia di estendere il Registro al Consiglio dell’Unione europea (dove si riuniscono i ministri UE e che colegifera insieme al Parlamento UE), creando una piattaforma comune, sia di rendere l’iscrizione obbligatoria, ma all’inizio del 2019 i negoziati sono naufragati.
Tuttavia il 31 gennaio scorso è stato approvato il pacchetto di emendamenti sulle regole di procedura stilato dal socialista britannico Richard Corbett, che ha introdotto l’obbligo per gli eurodeputati con responsabilità nel procedimento legislativo – ovvero i relatori di maggioranza e di minoranza, nonché i presidenti di commissione – di rendere pubblici tutti i loro incontri con i portatori di interesse.
Si tratta di una decisione importante perché è la prima misura di trasparenza obbligatoria delle lobbies applicata ai parlamentari europei (finora gli unici ad avere obblighi di pubblicità degli incontri erano gli esponenti di vertice della Commissione europea).
Mentre per il Parlamento si è riusciti a ottenere qualche progresso, nessun passo avanti si è registrato per il Consiglio dell’Unione europea.
L’attività del lobbista non si esaurisce però nei confronti di Commissione, Parlamento e Consiglio dell’Unione europea. Le maggiori attività di pressione si concentrano nei confronti delle Rappresentanze permanenti: gli uffici di funzionari governativi che hanno il compito di fungere da raccordo tra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie e che seguono tutti i dossier legislativi. Le rappresentanze preparano i lavori del Consiglio e compiono un’attività di negoziazione preventiva tra le posizioni dei Paesi dell’UE. Le decisioni in questa sede vengono spesso prese a porte chiuse e il contenuto degli incontri con i lobbisti resta opaco per la quasi totalità degli Stati membri.
Solo alcuni Stati membri come la Finlandia, l’Irlanda, i Paesi Bassi e la Romania hanno di recente reso finalmente pubblici gli incontri con i lobbisti.
La strada è ancora lunga ma sicuramente il lavoro portato avanti finora a Bruxelles rappresenta un altro passo avanti all’insegna della trasparenza.