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Riforma su Valutazione impatto ambientale, il susseguirsi dei ricorsi da parte delle Regioni
“Lesione dell’autonomia e di competenze fondamentali attribuite alla Regione Sardegna” così la giunta sarda presenta il ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto legislativo 104/2017 in materia di valutazione di impatto ambientale (Via). Una riforma che “consente allo Stato di assumere un ruolo centrale e esclusivo in materia di Via, privando la Sardegna di importanti prerogative legate alla tutela del paesaggio e al governo del territorio” continua l’esecutivo sardo.
Spiegazioni dal tono altrettanto duro arrivano anche dalla Regione Lombardia da una nota dell’assessore regionale all’Ambiente Claudia Terzi: “I principali profili di illegittimità costituzionale nascono dall’entrata a piè pari, da parte dello Stato, su competenze che la Costituzione individua come potestà legislativa regionale”.
L’elenco dei ricorsi si espande poi con la Puglia, la Calabria, il Friuli Venezia Giulia, la Valle d’Aosta, l’Abruzzo, il Piemonte, il Trentino e la Provincia autonoma di Trento. Gli ingredienti per ritrovarci nuovamente nella diatriba delle competenze tra Stato e Regioni ci sono tutti. Un vecchio dibattito che interessa la scena istituzionale da quando nel 2001 la riforma costituzionale attribuì la potestà legislativa allo Stato e alle Regioni, posti sullo stesso piano, con le competenze suddivise per materie. Il pomo della discordia in questo caso riguarda la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia, una materie di legislazione concorrente, attribuita cioè sia allo Stato che alle Regioni.
IL DECRETO
Più nello specifico la questione concerne il decreto legislativo n. 104/2017, riguardante la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, che è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 9 giugno scorso, pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrato poi in vigore il 21 luglio. Si tratta di un decreto legislativo che recepisce la direttiva europea 2014/52/UE in materia di Via.
La nuova disciplina ha l’obiettivo di efficientare le procedure, innalzare i livelli di tutela ambientale, contribuire a sbloccare il potenziale derivante dagli investimenti in opere, infrastrutture e impianti per rilanciare la crescita sostenibile, attraverso la correzione delle criticità riscontrate da amministrazioni e imprese.
Il testo, che prevede un’applicazione retroattiva ai procedimenti avviati dal 16 maggio 2017 in poi, introduce alcune importanti novità, quali:
- Introduzione di una definizione “allargata” di impatto ambientale comprensiva degli aspetti del progetto di maggior rilievo sulla popolazione, la salute, il patrimonio culturale;
- Facoltà per il proponente di richiedere un provvedimento unico ambientale alternativo alla Via ordinaria;
- Riduzione dei tempi delle procedure;
- Eliminazione della fase di consultazione formale del pubblico nella procedura di verifica di assoggettabilità a VIA;
- Possibilità di presentare uno studio preliminare ambientale per la fase di “screening”;
- Regole omogenee per il procedimento di Via su tutto il territorio nazionale.
Il provvedimento ha ricevuto critiche da parte delle Regioni, ma anche del Parlamento, già nelle prime fasi dell’iter di approvazione. Il testo dello schema di decreto legislativo è stato infatti trasmesso alle Camere e alle Regioni a metà marzo e ha raccolto le osservazioni contenute nei pareri da loro elaborati tra il 4 e il 16 maggio.
COSA CHIEDENO LE REGIONI
Gli aspetti fondamentali emersi dalle osservazioni delle Regioni riguardano in sostanza:
- Una valutazione effettuata sul “progetto definitivo” invece che sul “progetto di fattibilità”;
- Informazione e partecipazione in tutte le fasi di valutazione dei progetti;
- Procedimento di esenzione dall’obbligo di Via non affidato troppo all’arbitrio del Ministero dell’Ambiente e concesso solo quando si debba procedere con urgenza per esigenze di protezione civile;
- Sanzioni severe proporzionali all’eventuale danno arrecato.
Le proposte emendative, che possono essere viste anche come il tentativo di preservare le realtà regionali, non sono state accolte dal Consiglio dei Ministri in sede di approvazione. Alle Regioni, sentitesi svuotate del loro ruolo e impossibilitate a pronunciarsi su materie che hanno una connessione diretta con il territorio, non rimane che ricorrere alla Corte Costituzionale.